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Recensione Ciclo dell’Impero – Paria dei Cieli di Isaac Asimov
Chicago, 1950: Joseph Schwartz, sarto in pensione, sta passeggiando per le vie della città, quando viene colpito da uno strano raggio sfuggito a un istituto di ricerca nucleare. Si trova così catapultato nell’anno 827 E.G. (Era Galattica). La gente parla una lingua incomprensibile, la Terra è diventata radioattiva, è un piccolo pianeta sottosviluppato ed fa parte di un grande Impero Galattico che la tratta con disprezzo. Una fazione di conservatori, guidati dall’Alto Sacerdote e dal suo ambizioso Segretario, sogna di tornare a un mitico passato di grandezza e di far pagare agli “Esterni” la loro arroganza. Allo stesso tempo Bel Arvardan, giovane e brillante archeologo di Sirio, giunge sul pianeta per cercare prove della sua teoria sull’origine della razza umana. C’è poi il dottor Shekt, uno scienziato che ha inventato il sinapsificatore, macchina capace di potenziare le facoltà mentali, insieme alla sua giovane figlia Pola. Le vicende di questi personaggi si intrecceranno in modo sempre più stretto, fino al punto in cui Schwartz, Shekt, Pola e Arvardan dovranno farsi carico del compito di salvare l’intera galassia da una terribile minaccia.
Questo libro è stato offerto da Mondadori e recensito per voi da Viviana Tenga.
Paria dei Cieli fu scritto da Isaac Asimov nel 1950. È quindi uno dei suoi primissimi romanzi. All’interno di cronologia interna del suo universo narrativo, è l’ultimo dei tre romanzi del Ciclo dell’Impero, svolgendosi almeno mille anni dopo Il Tiranno dei Mondi. L’Impero Galattico guidato da Trantor, che vedrà la sua decadenza nella successiva saga della Fondazione, è qui una realtà relativamente giovane ma già consolidata.
Gli elementi tipici di Asimov ci sono tutti: trama complessa e avvincente, fiducia nella scienza e nella razionalità umana come forza positiva. Gli elementi fantascientifici sono affascinanti, dalla società sviluppatasi su un pianeta radioattivo, al sinapsificatore, alle micro evoluzioni avvenute nella razza umana (il dottor Shekt si stupisce, per esempio, che Schwartz abbia trentadue denti e un’appendice lunga più di un paio di centimetri).
La caratterizzazione dei personaggi è in alcuni casi grezza: il cattivo è una macchietta, il personaggio femminile di Pola un bidimensionale “love interest” per Arvardan. Non che l’approfondimento psicologico sia mai stato un punto forte di Asimov, ma in romanzi successivi farà decisamente di meglio.
Ci sono poi le similitudini storiche e le riflessioni su temi generali. La Terra di Paria dei Cieli ricorda a tratti la Palestina sotto l’Impero Romano: una provincia povera ma riottosa, con un popolo che si sente “eletto” ma che è trattato con disprezzo da tutti gli altri della galassia. Il procuratore Ennius, rappresentante dell’Impero, ricorda per alcuni versi la figura di Ponzio Pilato (soprattutto quando è alle prese con la casta sacerdotale terrestre).
Il romanzo affronta anche in modo molto esplicito il tema del razzismo, con argomenti e riflessioni oggi un po’ banali, ma che sicuramente lo erano di meno nel 1950.
Piccolo elemento, che invece è forse più attuale oggi che allora: a un certo punto si parla di virus usati come arma. Da persona che aveva già letto il romanzo diversi anni fa, devo ammettere che questa volta i passaggi al riguardo sono stati più di impatto.
Parere complessivo sul romanzo: non eccelso, ma una lettura piacevole e un libro da leggere se si ama Asimov e il suo universo.
Riflessione finale sul ciclo dell’Impero: trattandosi di storie del tutto slegate tra loro, forse vale la pena leggere i romanzi nell’ordine in cui sono stati pubblicati (ovvero, inverso rispetto all’ordine cronologico interno), in modo da poter apprezzare una crescente qualità della scrittura. Nell’insieme, il ciclo non è il miglior biglietto da visita per iniziare a conoscere Asimov, ma è sicuramente un blocco da recuperare se ci si è già appassionati al resto.

Recensione Gideon – La nona di Tamsyn Muir
Gideon vuole andarsene, sono anni che tenta la fuga e sente che questa volta ce la farà. Prima che possa arrivare alla navetta, che la porterà lontano da quel mondo fatto di negromanti, ecco che le viene offerta una sfida per poter lasciare davvero il pianeta, ma cosa vorranno in cambio?
Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.
L’approccio con questo volume non è stato dei migliori. Mi aspettavo tutt’altra storia e, dopo Nona Grey, devo ammettere che avevo un filo di intolleranza alle suore (iniziano a essere un po’ ovunque). A questo si è poi aggiunta l’aggravante che, in una storia che sembrava avere tutte le connotazioni fantasy, sono comparsi elementi da Space Opera. Non sono un’amante dei pianeti e dello spazio, se poi la vedo combinata a negromanzia e “sette magiche”, proprio non mi convince.
I primi capitoli introduttivi sono molto lenti e, a volte, appiattiti da un registro alto che si perde in dialoghi infantili, rallentando la lettura e smorzando l’entusiasmo acceso da alcuni primi dettagli del mondo creato dall’autore. Insomma i primi capitoli mi hanno reso difficile il continuare la lettura, più volte mi sono fermata perché annoiata dalla sfilza di situazioni che non si risolvevano o non era chiaro dove volessero portarmi.
La trama ha diversi buchi, troppo spesso si fa uso di un Deus ex Machina per sistemare la situazione come se il lettore si potesse accontentare di ciò. A questo si aggiunge un continuo voler lasciare all’oscuro il lettore, ci sono molti elementi che andrebbero chiariti e invece questo primo libro (perché sì, è una trilogia) lascia poche risoluzioni.
Anche qui abbiamo personaggi che hanno connotazioni di genere diverse dai soliti canoni. Vorrei dire che è una nota positiva ma in realtà il genere e la propensione LGBT+ è lasciata ai margini. In questo modo non la si percepisce come caratteristica dei personaggi.
L’edizione come sempre è curatissima. Non mi sorprende più la maestria profusa nella presentazione estetica, al fine di renderlo un oggetto d’esposizione. Io lo comprerei a prescindere, anche solo per tenerlo in bella mostra.
Vi confesso che non è un libro che consiglio, avevo grandi aspettative. La copertina (ma anche la cura grafica) valgono il prezzo del libro, ma il tempo signori miei dedicatelo a spolverarlo e basta.

Blog tour Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen
La location, che secondo me risulta la meglio trasposta, devo confessarvi che non è quella di Alice, bensì quella del Mondo del mago di OZ. Del resto è anche la prima in cui ci troviamo catapultati dal mondo reale, quella che ha elementi così semplici, eppure così caratteristici da farci capire subito che si tratta di OZ. I papaveri, come anche la strada di mattoni gialli, sono un chiarissimo richiamo al mondo fantastico scritto da L. Frank Baum, e da subito risalta maggiormente rispetto all’Isola che non c’è e al Paese delle Meraviglie. Credo che questo sia dovuto anche da altri fattori, per esempio di OZ non ci sono così tanti re-telling e graphicnovel (o almeno non sono arrivate nel mercato italiano), di conseguenza si hanno molti meno termini di paragone. Se consideriamo che di OZ abbiamo solo due grandi film, mentre per le altre troviamo tantissimo materiale: hanno infatti la sfortuna di essere state riadattate in molteplici modi (potete nominarne 5 versioni senza nemmeno sforzarvi troppo, provate!) e si fa più fatica ad apprezzare con questo stile di disegno molto semplice. Sì perché su molti elementi il disegno è ottimo, in altri a mio parere rimane sciapo. La stessa nave di Uncino me l’aspettavo più rococò, meno stilizzata (dopo Hook, Capitan Uncino, non ci sarà nave meglio azzeccata!). Anche il Paese delle Meraviglie appare troppo semplificato e, visto che per Alice è un luogo da incubo, mi aspettavo elementi più forti a definirlo.
Il mondo reale (che ha poco spazio) invece ha una sua colorazione molto chiara e dominante: i toni ocra, senape, danno un tono accogliente e, non a caso, per quanto lo si percepisca come “manicomio” è un luogo che ha il sapore di casa. Il colore caldo (che anima anche Oz) si contrappone invece ai mondi di Alice e Wendy che appaiono molto più freddi.
Sì, lo confesso, tutti quei papaveri rossi hanno fatto breccia nel mio cuore, tanto da farmi lasciare in secondo piano le altre due location fantastiche di questa graphicnovel. La mia speranza è che se sarà prodotto un secondo volume, magari, lo stesso lavoro di risalto potrebbe essere fatto sulle altre ambientazioni.

E tornammo a veder il Salone del Libro…
Dopo una pandemia che aveva fermato tutto, fa bene al cuore vedere che è tornato tra noi il Salone del libro di Torino. Fa bene al cuore aver visto le code infinite che, nella giornata di sabato, hanno probabilmente sorpreso anche lo stesso staff del Salone che forse si aspettava meno gente. La realtà è che, anche a detta di molti editori con cui ho parlato, questa edizione sia stata un insperato successo.
La gente aveva bisogno di tornare a Torino, di vedere tutti gli editori e, come in un paese dei balocchi, godere al massimo di quello che ha trovato tra le sue mura. Per me invece non è stata una Torino troppo spensierata, sono arrivata con un paio di appuntamenti e una lista molto risicata di editori da incontrare e da cui comprare. Il tutto un po’ dovuto al fatto che avevo un budget risicato, e un po’ perché erano cambiati i miei piani e, invece di due giorni, io e la mia part in crime, abbiamo optato per una sola giornata di fiera. Pochi editori, è vero, ma c’è stato anche tempo per scoprirne di nuovi mentre passavo di stand in stand.
Visto che la mia collega non aveva il pass stampa, i tempi di attesa si solo largamente dilatati. Dovendola attendere per parecchio tempo, sono partita subito dalla Words Edizioni: è una realtà che mi sta piacendo molto. Trovo i loro Historical Romance una lettura perfetta per evadere nei bei tempi andati e godermi tutto il romanticismo del ton inglese. Dal loro catalogo ho recuperato l’unico volume di questo genere che mancava cioè “La seconda moglie” di Juls Way. Sono stati così gentili da omaggiarmi con il volume “La luce dell’alba” di Liliana D’angelo che finisce subito tra le prossime letture.
La seconda tappa è stata in casa Plesio Editore e Lambda House che conosco da anni anche se, in questo ultimo periodo, hanno fatto una importante presenza nella mia libreria con le due splendide letture “Catena Alimentare” e “Tramonto a Oriente”. Di quest’ultimo in particolare ho voluto complimentarmi di persona per il lavoro fatto con il suo libro, aggiungendo come sempre il solito incoraggiamento a scrivere molto altro, perché si vede che Federico Galdi ha la mano per delle storie davvero belle e uniche. E’ quindi il caso che ne scriva altre, noi lettori ne abbiamo bisogno. Al loro stand l’editrice mi ha presentato la loro novità Salone che è ovviamente venuta a casa con me “Excursus Vitae” di Giacomo Festi. La cover è davvero un amore, avendo la possibilità di avere lo sconto fiera ho recuperato anche “Dragophobia” di Andrea Zanotti.
Terzo appuntamento della giornata quello con un editore con cui ho un bellissimo rapporto come lettrice, sto parlando di Watson Edizioni. Lo stand era davvero un capolavoro e invita tutti a tenerli d’occhio perché, nel settore del fantastico italiano, si stanno distinguendo con la loro passione e anche una sana dose di inventiva. Questo team andrà lontano. Sono andata per recuperare il primo volume della collana editoriale Ritratti, “Louise Brooks – Due vite parallele” di Laura Scaramozzino. Mancandomi il quarto volume della serie, per esser sicura che potesse riposare tranquillo Antonio Schiena che non tollerava tale affronto, mi è stato fatto dono anche “Annibale Barca – Il nemico” di Davide del Popolo Riolo. In questo modo ho potuto colmare il gap (e a lungo andare mi toccherà completarla tutta perché sono davvero dei gioielli). Watson edizioni mi conosce e mi ha anche lanciato una sfida, mi ha omaggiato (oltre che della loro bag che è un capolavoro!) di un loro Gamebook. Non che si tratti di una novità, negli anni 80/90 spopolavano tantissimo, io stessa convivo con un grande giocatore di questo genere di libri. Io ci avevo provato una decina di anni fa ad affrontare queste avventure, ma tra dadi e molte distrazioni non mi ci ero trovata, ora con questo loro splendido omaggio, “Jekyll e Hyde” di Marco Zamanni e Enrico Corso, do una nuova possibilità al genere. Vi terrò aggiornati su come procede.
Ultimo acquisto programmato (ma non il meno importante) è l’attesissimo terzo volume della serie ormai denominata “Vampiri VS Metallari” di Aislinn, romanzo che attendevo da quando ancora ero una semplice imbratta carte e lei era uno dei miei insegnanti; sì questa serie con “I tuoi peccati ti troveranno” si chiude e l’autrice mi ha promesso che si soffrirà tanto (e non vedo l’ora), ma in confidenza mi ha anche rivelato di non mettere il lutto al braccio, un giorno potremmo ritornare a Biveno con nuovi personaggi e nuove avventure da vivere. E io non vedo l’ora.
Infine le scoperte del Salone con il mio ultimo acquisto, ma vi parlerò anche di un paio di realtà che ho scoperto e che certamente andranno a finire nei miei prossimi acquisti. L’incontro con questo libro è stato un colpo di fulmine: sapete quando state semplicemente passeggiando quasi senza meta e buttate l’occhio un po’ qua e un po’ là? Ecco che qualcosa attira la vostra attenzione: l’immagine di una ragazzina tra rami oscuri dove sbucano alle sue spalle ombre oscure e occhi indagatori, il tutto unito ad un titolo che in poche parole promette faville: “Lucifero e la bambina”. Ora di questo libro e del suo autore Ethel Mannin non sapevo nulla, e sebbene già la sinossi con il titolo dipingeva già una storia geniale, ci ha pensato il sapiente staff di Alcatraz Edizioni a tratteggiare le informazioni per fami capire che avevo tra le mani un perfetto Weird. Quindi è venuto a casa con me.
Fine degli acquisti. Ma come vi dicevo parliamo di due editori che ho scoperto e di alcuni titoli che certamente recupererò. Rimaniamo a parlare sempre di Weird con Edizioni Hypnos. I titoli che finiscono nella mia wishlist (e quasi certamente tra i prossimi shopping on-line) sono “La mia morte” di Lisa Tuttle e “La casa delle conchiglie” di Ivo Torello. Vi confesso che ci sono anche parecchi altri titoli, ma questi due sono quelli che mi hanno affascinata di più. Il secondo editore che è stata una autentica scoperta è Exorma Edizioni: sono grafiche davvero uniche. I titoli “urlavano” cercando l’attenzione del passante, spingendomi a fermarmi per leggere alcune loro sinossi. Lo staff è stato cordiale e mi ha presentato le collane. Due volumi in particolare avrei voluto portarmi a casa (e quindi finiscono nel mio prossimo ordine) e sono “Fantasmi dello Tsunami” di Richard Llyod Parry un viaggio tra i luoghi sconvolti dal terremoto e successivo maremoto del 2011 in Giappone (novità esclusiva del Salone e che infatti ancora non si trova), e “La donna che pensava di essere triste” di Marita Bartolazzi dove il titolo e la breve sinossi mi hanno conquistata e che non vedo l’ora di recuperare.
Insomma questa Torino come sempre ha portato nuovi libri in casa Chimera, mi ha fatto conoscere nuove realtà. Sono certa che presto mi spingerà a fare altre compere senza controllo. C’è voluto tanto, ma questo Salone serviva a noi tutti, agli editori che erano affamati di pubblico e a noi lettori che siamo affamati di storie. Dopo il buio di questa pandemia, finalmente uscimmo a riveder le stelle…

Recensione di White Power di Stefano Tevini
Quando ero ancora una sbarbatella e andavo alle superiori, tra le varie strategie comunicativa relative alla storia della pubblicità, arrivammo alla propaganda; rimasi molto impressionata da una tattica che, attraverso strumenti come manifesti e campagne studiate, potesse influenzare il pensiero delle masse.
La storia ci racconta che non è così difficile, lo stesso presente ci mostra come, dall’esposizione di notizie e fatti, si possa modificare la realtà in modo che sia percepita con un messaggio di fondo tale da smuovere la gente verso determinati pensieri politici. Ero un’ingenua quando pensavo che, uno strumento come la pubblicità, potesse essere semplicemente parlare al pubblico condizionandolo a comprare un prodotto. Ormai tutto, anche i social, sono diventati il veicolo di frenesie estreme: dal comprare tutte le novità che escono in libreria, fino a diffondere un determinato pensiero che spinga l’utente medio, accomodato sul proprio divano o sulla tazza del cesso, a porre “pollice verso e pollice recto”.
Quindi forse non dovrei sorprendermi che anche la narrativa potesse divenire uno strumento di propaganda. Invece quando ho scoperto gli studi di Stefano, poi analizzati in questo saggio, sono letteralmente rimasta sbalordita che persino i libri o le storie potessero raccontare (e incitare) l’estrema destra americana. Certo, è frutto di un’ingenuità che vuole le storie come veicoli di morale: cresciamo con le favole della buonanotte che ci trasmettono le regole principali del quieto vivere. Come fai a pensare che le stesse possano sporcarsi, raccontando quanto sia giusto essere bianchi, sottolineando quanto il nemico sia incarnato da ebrei e uomini di razza mista o da nuance di colore, che vanno oltre l’abbronzatura arancio?
Eppure è così, il delirante mondo in cui sono ambientati i romanzi citati da Stefano in White Power ci danno una chiara visione di questo genere, spesso rimasto fuori dal nostro paese, ma che qualcosa ha smosso oltreoceano, visti anche i risultati delle ultime elezioni, o come l’America stia diventando una fabbrica di notizie scritte su misura dei propri interessi.
Leggere resta sempre uno strumento di conoscenza, così come essere consci che ci sono libri che trasmettono morali alterate, mondi che di distopico hanno la visione del nostro mondo pacifico. Soprattutto ora, i libri come questo, ci aiutano a tenere alta la guardia verso un nemico che sa raccontare falsità così reali, da farci credere che siano vere.

Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes – Recensione e approfondimento
L’investigatore più famoso del mondo letterario. Autori di un certo spessore che giocano con questo personaggio, dandogli la loro sfumatura, portandolo di nuovo su carta in una veste nuova e unica; nel piccolo formato del racconto troviamo anche opere di grandi appassionati. Eppure il più noto abitante della Baker Street londinese non mi è mai andato a genio. Da quando ho dato il mio amore a Hercule Poirot, confermo che nemmeno in queste nuove vesti sono riuscito ad apprezzarlo. Non che sia un brutto personaggio, solo che lo trovo troppo protagonista.
Non si può negare che per quanto il tempo sia passato, gli autori sono stati in grado di riportarlo su carta accompagnandolo con il fedele Watson, e devo confessare che pensavo fosse banale. Ma leggere “Elementare Watson” è stata comunque un’emozione, anche se non si trattava della penna di Arthur Conan Doyle. Ci sono poi episodi in cui non lo vediamo. Si gioca piuttosto a rievocare, nell’ambiente di appassionati, i personaggi di fantasia.
Una raccolta di racconti che NON può mancare nelle librerie degli fan di questo personaggio, che ha segnato in maniera indelebile il genere Giallo.
Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.
Da che sono nati i reati, l’uomo ha voluto risolverli e consegnare alla giustizia i colpevoli. La cronaca Nera ad oggi è ancora uno degli argomenti che creano maggiore interesse nello spettatore. Conoscere i dettagli scabrosi di un evento per il pubblico è fondamentale, tanto che, da casa, cerca di capire come sono andate i fatti. Basta guardare i dati auditel delle trasmissioni di approfondimento su omicidi e assassini: il mondo vuole partecipare alle indagini.
I libri hanno cercato il modo per saziare questo bisogno. In principio era la cronaca scandalistica dei giornali: se pensiamo che nell’epoca vittoriana i “mostri” che terrorizzavano Londra avevano il loro spazio, così come anche le vittime e i racconti orridi dei fatti. Anche la finzione ha dato spazio a questo mercato.
Sherlock è solo uno dei noti investigatori, o uomini di legge, che cercano di incastrare i colpevoli. Gli esempi più noti sono certamente i figli di questo personaggio come Hercule Poirot o l’italianissimo Guglielmo da Baskerville. Che si vada avanti o indietro nel tempo, che si resti in Europa o si esplorino mete esotiche, scrittori e sceneggiatori hanno snocciolato i peggiori casi di omicidio o furto per il pubblico.
Perché è facile da un certo punto in poi della storia, raccontare la risoluzione di un caso. Per esempio in CSI il colpevole veniva sempre (o quasi) trovato e messo dietro le sbarre, ma in altre epoche e tempi, senza luminol, esami del DNA o impronte digitali, come la mettiamo? Eppure Umberto Eco ci provò con “Il nome della rosa”, e con un buon successo. Perché in fondo trovare il colpevole non è solo una questione di strumenti, ma di osservazione e intelletto.
È impossibile se si parla di intrattenimento non citare due opere più contemporanee (anche se televisive) come “La signora in Giallo”, che tutti almeno una volta abbiamo visto, (e soprattutto, tutti abbiamo sospettato che fosse la Signora Fletcher l’assassina seriale), che puntualmente inscenava un caso. Insieme non posso che citare il più insolito “I segreti di Twin Peaks”, partito in maniera molto “strana”, e degenerato in qualcosa di abbastanza incontrollato, dopo che gli spettatori avevano finalmente avuto la risposta all’eterna domanda “Chi ha ucciso Laura Palmer?”
Si ferma solo alla finzione? No, il prurito per il sapere, essere parte integrante alla scoperta di un colpevole ha creato format documentaristici come “Making a murderer”, disponibile su Netflix. Un vero omicidio, un possibile colpevole, le prove mostrate tutte chiaramente al pubblico perché possa decidere, giudicare, dire anche la propria attraverso i social. Sull’onda negli ultimi anni sono nati persino dei canali specializzati come Crime+Investigation (i cui programmi avevano dei titoli scritti da un Copywriter che merita un premio!) dove le vittime e i loro assassini vengono raccontati con documentari e serie monografiche.
Insomma, forse è per questo che non accettiamo i casi irrisolti. Che ancora oggi qualcuno stia cercando la soluzione di ciò che accadde a Dallas a Kennedy? Per non parlare di coloro che ancora oggi cercano l’identità di Jack lo Squartatore. L’uomo vuole sapere, deve sapere. Io spesso odio i documentari dei casi irrisolti: non esiste che non si trovi il colpevole, non esiste il delitto perfetto. La realtà è che forse ci spaventa terribilmente l’idea che il colpevole sia ancora là fuori, e possa ancora fare del male o vivere libero.