Recensione: Le ombre tra di noi di Tricia Levenseller

Le ombre tra di noi

Alessandra non ha paura. Semmai è pronta per attuare il suo piano: conquistare il re, diventare regina e poi uccidere il suo consorte per vivere finalmente libera.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Premessa. Mi spiace essere lapidaria ma, libri come questo, meriterebbero di avere pagine bianche al suo interno; sono davvero molto belli graficamente ma per il resto è davvero inchiostro sprecato. Troppa cattiveria? No, vi giuro che proprio non ci siamo. Mi scuso davvero con Mondadori, che mi ha permesso di leggerlo in anteprima, ma non posso esimermi da stroncarlo.

Partiamo dall’ambientazione. La struttura sociale del regno è semplicemente narrata come una specie di Versaille fantasy. Il metaforico “Re Sole”, invece di splendere, affumica i presenti con le sue ombre. Oltre a questa premessa sappiamo solo pochissimo altro di questi regni che, da bravo tiranno, governa con il pugno di ferro. Mentre il popolo si lamenta e fa la fame, qui si parla intensamente di vestiti, merletti e gioielli con pietre grosse come un pugno di cui riesco solo a immaginare il peso eccessivo se dovessi portarli al collo. Poi… altre note sul wordbuilding di questo romanzo? La risposta è che non c’è altro, nulla, nada, nisba.

Alessandra è una donna emancipata in una società patriarcale in cui perdere la verginità prima del matrimonio è un tabù e, come se non bastasse: ha avuto l’ardire di cambiare amante come si cambia d’abito (e fidatevi ne cambia e ne descrive anche troppo ma ne parliamo dopo) e di uccidere anche il suo primo amore che l’aveva solo usata (sentite anche voi l’odore di clicchè?). Siccome si sta annoiando della sua vita ha un piano: sposare e uccidere il re per poter essere libera. Ora potrebbe sembrare un personaggio interessante, peccato che sia strutturata malissimo con pensieri in stile banderuola che la fanno apparire bipolare. Al contrario il Darkiling (ah no?) Re delle ombre è ben costruito, anche se si sente chiaramente l’influenza di altri personaggi noti creati dalla Bardugo e dalla Maas. Infine i protagonisti secondari, insieme agli “antagonisti”, sono pallide comparse che servono a riempire momenti di trama in cui il caro Re delle ombre non è presente.

Vabbè l’ambientazione è poco strutturata, diciamo che c’è un sei meno meno per i personaggi. Ma la trama? Dai c’è una trama! Sì, quella di una fan fiction editata con moltissime pezze che tappano la complessa struttura a groviera. Giusto ieri sera realizzavo, con la mia Trashologa di fiducia, che c’è un enorme ingenuità nella sua costruzione: nella quarta di copertina troviamo la frase “[…]Altri dicono che le ombre gli parlano, sussurrandogli i pensieri dei suoi nemici […]”. Tra le prime cose che scopre Alessandra è che alla corte sono “invitate a restare a palazzo” tutte le persone che erano presenti all’attentato dei genitori del re. Se questo aspetto, che dovrebbe rendere tenebroso il protagonista, avesse una qualche valenza concreta, qualcuno mi spiega perchè terrebbe vicine tutte quelle persone mentre cerca di scoprire chi ha ucciso la sua famiglia? Ci rendiamo conto che è un Re? Uno di quelli che potrebbe far provare l’esperienza della decapitazione, tortura ecc… se davvero avesse le ombre che gli suggeriscono i pensieri dei suoi nemici?

Lo stile è confuso e si sente la presenza di un editor che ha fatto davvero le notti in bianco per sistemare alcune ingenuità narrative. Ma il problema vero e proprio sono le descrizioni degli abiti: invece di occupare pagine per strutturare l’ambientazione, per dare spazio ai personaggi secondari, ecco che Alessandra (con la sua passione per ago e filo) tira fuori vestiti su vestiti di cui conosciamo trama, ordito, orli, ricami, colori e contrasti che ai fini della trama servono a poco o nulla.

Nulla, su vari fronti è manchevole ma c’è l’ammmmmore giusto? Sì, e infatti dopo pagine e pagine di amanti, pseudo-petting, di strusciamenti di quanti su pelle, di passione che si accende, vi lascio con la stessa emozione della scena di passione che ci regala l’autrice… ah già non c’è… tagliata pure la soddisfazione di consolarmi con del sesso da romanzo rosa.

Insomma fuori dai denti mi dispiace, è insufficente. E’ forse il libro con la cover più bella di questo 2022, ma al di là di questo non c’è altro. Tranne le grasse risate nel racccontarlo ad amiche. Una lettura non indispensabile, ideale unicamente da leggere per il piacere di una storia leggera, senza impegno (anche da parte dell’autrice).

Articoli simili

  • Recensione L’ultima gru di carta di Kerry Drewery

    Ichiro è un nonno che ha nascosto la pena di un evento terribile quando aveva solo diciotto anni: in una giornata estiva, come molte altre, ha visto la sua città, Hitoshima, scomparire. Una bomba ha cancellato tutto, le cui conseguenze sono molto più tremende e dolorose di quelle che fino ad allora avevano colpito il suo paese. Il racconto della ricerca della sua sopravvivenza insieme al suo migliore amico Hiro e la ricerca della piccola sorellina Keiko, svelano alla nipote che in nonno Ichiro che c’è un grande rimpianto legato alla sua fortuna di essere sopravvissuto.

    Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

    Tra pochi giorni saranno dieci anni esatti dalla mia visita a Hiroshima. Nel mio viaggio nella terra del sol levante ho voluto fare tappa in quella città, attraversando tutto il Giappone in treno. Ancora oggi è difficile trovare le parole quando racconto l’emozione e le lacrime, che da sole iniziarono a bagnarmi il volto, mentre scendendo dal tram e mi trovavo davanti lo scheletro della cupola del Memoriale della Pace. È un luogo che, nonostante i grattaceli, conserva ancora tutto quel dolore. Per questo ho letto questo bellissimo libro; per il momento non ho modo di mettere in programma un nuovo viaggio verso Hiroshima, eppure sento di doverci tornare, almeno con il pensiero, attraverso una storia.

    Non è un libro scritto da un sopravvissuto, nemmeno da un giapponese, e un poco si sente in alcune pagine, ma non mi sento di condannarlo: il miglior libro per ragazzi sulla Shoah che abbia mai letto non era scritto da un sopravvissuto, tanto meno da un ebreo. Ci sono parti della storia la cui memoria non deve essere legata unicamente ai sopravvissuti, anzi, un bravo scrittore può portarla avanti attraverso nuove storie che, non solo facciano rivivere quei momenti, ma insegnino anche l’importanza di tramandarle.

    Dal titolo mi aspettavo tutt’altra storia, conosco molto bene infatti la leggenda delle mille gru necessarie per realizzare un sogno, e so anche quanto sia legata questa tradizione a Hiroshima, dove il Monumento della pace dei bambini ha una teca di dimensioni enormi dove chiunque può portare le sue mille gru, o anche solo lasciarne una. Durante le celebrazioni viene infatti donato a turisti e visitatori, un foglio di carta e le istruzioni per costruirla e l’invito a passare proprio al memoriale per lasciarla nella teca. Non vi svelerò come l’autrice l’ha utilizzata nella storia di Ichiro e la piccola Keiko, ma devo confessare che mi ha commosso parecchio e non è affatto quello che mi aspettavo.

    Ci sono un paio di scelte stilistiche che non ho approvato, la scelta di trasporre in versi il presente e lasciare narrato solo il ricordo degli eventi, e anche le illustrazioni che ho trovato un po’ troppo semplici, ma nell’insieme è un libro che andrebbe fatto leggere, perché no, a scuola ai giovani lettori. La pace non si insegna solo attraverso gli arcobaleni, a volte c’è bisogno di mostrare molto di più attraverso fatti dolorosi che però raccontano anche la speranza di un mondo che può migliorarsi.

  • Recensione Ciclo dell’Impero – Il tiranno dei mondi di Isaac Asimov

    Biron Farril è il giovane figlio del governatore del pianeta Widemos; sta ultimando i suoi studi universitari sulla Terra, quando viene a sapere che suo padre è stato giustiziato, colpevole di tradimento verso i Tirannici, il popolo che domina decine di mondi, tra cui Widemos.

    Biron scopre che anche la sua vita è in pericolo. Inizia una fuga nello spazio, alla ricerca di salvezza per sé e vendetta per suo padre. Si trova così a Rhodia, altro pianeta sotto il dominio dei Tirannici, dove incontra Gillbret e Artemisia, rispettivamente cugino e figlia del debole governatore locale. Insieme, i tre si metteranno alla ricerca di un misterioso “mondo della rivolta”, dove si prepara la ribellione contro i Tiranni.

    Questo libro è stato offerto da Mondadori e recensito per voi da Viviana Tenga.

    Il Tiranno dei Mondi è un romanzo del 1951, uno dei primi della produzione di Asimov. Insieme a Le Correnti dello Spazio e Paria dei Cieli forma la Trilogia dell’Impero, che racconta di una galassia colonizzata dal genere umano, ma ancora divisa in tanti regni in conflitto tra loro. 

    Pare che in un’intervista Asimov lo indicò come suo romanzo di cui era meno soddisfatto. In effetti, è probabilmente uno dei meno brillanti. Non che sia un brutto libro: la lettura in sé è avvincente, c’è l’attenzione per la verosimiglianza scientifica che caratterizza Asimov (nei limiti delle conoscenze dell’epoca), c’è tanta azione, una storia d’amore discretamente costruita, dei buoni colpi di scena.

    Manca però qualcosa che lo renda memorabile o gli dia spessore dal punto di vista delle tematiche trattate. Le riflessioni più interessanti sono forse quelle sull’evoluzione delle civiltà umane (le dinamiche politiche dei regni galattici sono di fatto una replica di ciò che è avvenuto in passato sulla Terra). Risulta invece a tratti eccessiva l’enfasi sul concetto di lotta per la libertà, e su questo tema si arriva nel finale a un passaggio un po’ cringe. 

    I personaggi sono caratterizzati quanto basta alla storia. Il trio di protagonisti è formato da un giovane brillante ma un po’ “testa calda”, una ragazza altezzosa ma intrepida e di buon cuore, uno zio sopra le righe. Tra i cattivi troviamo l’uomo che mette l’ambizione davanti agli ideali e quello che in realtà è una brava persona, ma ha un ruolo sociale che lo porta a curare gli interessi degli oppressori. Non c’è particolare approfondimento psicologico, ma non è quello il focus del romanzo. 

    La traduzione è quella degli anni Cinquanta, e forse il romanzo ne meriterebbe una nuova. Per esempio, i dialoghi potrebbero essere resi un po’ più dinamici lasciando che i personaggi si diano più spesso del tu invece che del lei. C’è poi il nome del pianeta dei dominatori: nell’originale è “Tyrann”, che senz’altro richiama il termine “tyrant” ma non vi corrisponde, ed è popolato dai “tyranni”. In italiano, abbiamo semplicemente un pianeta Tiranno abitato dai tirannici. Si potrebbe forse valutare di lasciare i termini originali, perché per un lettore di oggi è più faticoso prendere sul serio degli antagonisti “dal pianeta Tiranno”.

    Nel complesso: il romanzo è ben costruito ed è una lettura gradevole, ma non è tra i migliori della produzione asimoviana. 

  • Blog Tour I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift

    È facile accostare Gulliver a Ulisse, due naufraghi che cercano in ogni modo di tornare a casa. Le epoche e i luoghi sono molto distanti, eppure “I viaggi di Gulliver” da molti viene considerato come l’Odissea settecentesca.

    Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

    Non è solo il solcare i mari nella speranza di tornare a casa ad associare i due personaggi  e non lo sono nemmeno i luoghi fantastici che visitano e che, costantemente, abbandonano nella speranza di tornare a casa; hanno in comune una sincera curiosità. Mi domando se Dante lo avrebbe collocato nell’inferno, come il suo predecessore,  proprio per questa peculiarità. Eppure Gulliver non è un eroe che fa ritorno a casa dopo aver vinto la guerra; è solo un chirurgo di marina che naufragato cerca una via per casa. Non siamo in una epoca in cui si possano cantare le gesta degli eroi. È un mondo molto più razionale rispetto a quello in cui Omero scrive.

    Il lungo peregrinare di Ulisse è dettato dalla ferocia del dio dei mari. Gulliver invece è vittima di un naufragio dettato dalla casualità. La completa assenza di un intervento divino è una delle grosse differenze che pochi notato. Le magie, o le situazioni incredibili che Gulliver incontra, sono semplicemente un dato di fatto.

    Certo, abbiamo anche in Gulliver la possibilità di incontrare i morti, ma a differenza di Ulisse che scende negli inferi, questo incontro avviene sulla terra; non ha modo di dialogare con essi come invece farà Ulisse. Questo dimostra quando l’autore non prenda una parte, ma sia razionale nel non poter sapere come un morto risponderebbe a un vivo. C’è più logica e sapere, perché del resto il settecento è un secolo illuminato, dove il buio dell’ignoranza e della superstizione viene lasciato indietro.

    Sono due viaggi molto diversi, eppure chi li legge non può negare quanto Swift si sia ispirato a Omero. Certo Gulliver è anche una delle migliori opere di satira sociale dei suoi tempi, eppure oggi lo si propone anche ai più piccoli (in versioni tagliate) perché ha molti elementi di avventura adatti al pubblico giovane. Nonostante ciò, mi sento di dire che Gulliver è una pietra importante su cui la narrativa contemporanea poggi. Ulisse lo fu prima di lui, certo, ma era anche un’opera in versi. Inoltre non si può negare quanto Gulliver abbia esumato dai testi classici come “I moralia” di Plutarco. Mi trovo a sorridere a queste influenze, che per opere più contemporanee sono spesso sminuiti, quasi fossero plagi o rivisitazioni.

    La narrativa non inventa quasi più storie uniche e nuove. La via per il futuro è forse la medesima di Swift di guardare e conoscere il passato, per dare una nuova visione nel presente? Ovviamente non ho la risposta, ma sono sempre più convinta che leggere le opere, che hanno fatto la storia della narrazione, sia fondamentale per poter davvero scrivere.

  • Recensione di Wicked Tapes di Margherita Fray

    Valentina è una Youtuber. I suoi video parlano del mondo paranormale, di vampiri, di licantropi e soprattutto di un ragazzo dai capelli bianchi dotato di zanne. Sono proprio le foto di questo enigmatico personaggio ad averla resa una celebrità on-line. La sua vita scorre normalmente fino a quando il misterioso ragazzo la trova e con lui tutto, quello che viene celato agli essere umani, diventerà una dura verità.

    Attenzione questo libro è stato offerto da Margherita Fray.

    Può la frizzante Margherita Fray incantare i suoi lettori con una storia fantasy? Vi do un indizio. Come i bambini che vestono di rosa non sono femminucce, questa autrice non è solo una scrittrice di romanzi rosa con situazioni scoppiettanti; no signori, la Fray sa scrivere anche di mutaforme, vampiri e demoni.

    Per la precisione però non lo definirei urban fantay e nemmeno paranormal romance. Mettere insieme questi due generi nelle mani di Margherita può generare unicamente un nuovo sottogenere: il “Paranormal Chicklit”. Già perché tra le pagine di questa storia (a cui mancano solo altre cento pagine per noi appassionati e un “fratellino”, che a questo punto aspettiamo presto), gli elementi dark delle atmosfere urban incontrano la simpatia e genuinità delle protagoniste tipiche della sua mano narrativa. A rafforzare la componente “Chicklit” l’uso della prima persona onnisciente, qualcosa che tecnicamente i professori criticherebbero, ma che si sposa con a una struttura narrativa molto intrigante

    Ora che abbiamo trovato l’etichetta per questo romanzo parliamo dei personaggi. Una prima persona che parla di tre diversi protagonisti. Valentina voce narrante, e causa scatenante, di una storia che il lettore gusterà su due piani narrativi diversi: Katil bello e sensibile con tanto di elemento sovrannaturale a renderlo il perfetto protagonista maschile, e infine Lorenzo l’eterno friendzonato ma che, ammettiamolo, noi sapremmo consolare.

    Un trittico molto interessante che si scontra e racconta due momenti diversi della storia: l’inizio e il finale che vorrebbero evitare.I personaggi di Kat e Lorenzo infatti raccontano la storia futura alla morte della protagonista, mentre Valentina racconta come arriverà a quel momento. È stata una scelta insolita che rende però il romanzo dinamico e mai noioso. A questo poi si aggiunge anche la caratteristica che, nonostante si legga nello stesso capitolo il presente e il possibile futuro, non ci si trova con una storia interrotta a ogni cambio di personaggio. In pochi capitoli si famigliarizza con questi salti e il finale fa urlare  “ne voglio ancora”!

    Una grande prova d’autore che mostra la versatilità di questa autrice senza mai snaturare il suo stile, anzi piega il genere a suo piacimento e, a noi lettori, resta solo una cosa da fare: invocare a un nuovo libro da leggere, perché questa autrice non basta mai.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *