Recensione Factory di Tim Bruno

Recensione Factory di Tim Bruno

Scorza è un vecchio topo, ma grazie alla sua furbizia è riuscito a entrare nella Factory per scroccare formaggio dal foraggio per gli animali. C’è una cosa molto strana però, ci sono tanti animali che non conoscono il mondo ad di fuori il loro piccolo box, un mondo dove esiste un cielo, dove non sono i nastri trasportatori a fornire il cibo ma la terra.

Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Raccontare l’allevamento intensivo ai bambini non è una cosa semplice. Questo libro non solo la racconta in maniera semplice, ma spiega anche le dinamiche del gruppo quando si cerca di far togliere il paraocchi alle persone. Insomma sembrerebbe un libro per un target giovane e senza troppa morale, ma in realtà c’è molto altro.

Non sono una grande sostenitrice del vegan, ma di certo supporto il cruelty free: conoscere la storia di tre animali destinati a diventare scatolette mi ha ricordato i toni di Okja dove, con spiazzante verità, Scorza deve accettare che gli animali che sta imparando a conoscere, e a cui sta dando un nome, sono destinati al macello.

Inizialmente avevo pensato che questo libro richiamasse “La Signora Frisby e il segreto del Nimh”, ma qui non c’è scontro di specie, anzi, l’uomo sembra non esistere: sono le macchine a alimentare e scandire la vita della Factory. Ma per quanti automatismi lo possano nascondere è chiaro per chi sono quelle montagne di scatolette che ogni giorno vengono prodotte. Leggendo non si da la colpa all’uomo, ma semmai a un sistema che non prevede una vita per quegli animali, destinati a essere coltivati come gli uomini in Matrix. Una scelta interessante che non si sofferma a puntare il dito ma semmai a mostrare la vastità di una luna che troppo spesso rimane ignorata.

Credo sia una bella avventura con una morale tutt’altro che banale, non è la libertà l’obbiettivo finale, piuttosto trovare la speranza di un mondo nuovo.

Recensione Mary la ragazza che creò Frankenstein di Julia Sardà e Linda Bailey

Recensione Mary la ragazza che creò Frankenstein di Julia Sardà e Linda Bailey

Mary è una ragazza che fantastica. Non è come le altre, è la figlia di una grande femminista, sa leggere, scrivere e racchiude in sé il potenziale per poter lasciare il segno nella letteratura.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Proporre la storia di Mary Shelley per i giovanissimi non è una missione molto facile eppure Rizzoli trova le immagini di J. Sardà e le parole semplici di Linda Bailey che riescono a raccontare la nascita di uno dei mostri più famosi nel mondo dell’orrore.

Partiamo dalle illustrazioni di questo volume. Magnifiche nella loro semplicità, la profondità viene schiacciata e resa dimensionale, a volte solo accennata, e sono i colori a raccontare. I contrasti delle pagine grigie e verdi, dove spicca sempre il rosso dei capelli di Mary, si contrappongono a quelle calde dove con gli altri protagonisti complici della nascita del mostro di Frankenstein Mary sembra perdersi. Questo stile molto particolare mi ha ricordato moltissimo quello di Alberto Pagliaro, anche se invece dell’eccentricità tipica di questo artista, abbiamo invece vignette piene di geometrie applicate anche a elementi della natura, il cui aspetto finale sembra quasi davvero un lavoro fatto da un bambino.

Dal punto di vista della storia, l’autrice si rifà a una prefazione scritta proprio da Mary Shelley tredici anni dopo la prima pubblicazione de “Il moderno Prometeo” (da molti conosciuto con il nome “Frankenstien”) che, adattata al pubblico giovane, racconta di come una ragazza possa un giorno creare una delle storia più iconiche dell’orrore.

Conosco bene i fatti che portarono in Svizzera Mary e il marito, oltre che ai retroscena di quella vacanza dove nacquero non solo il romanzo che fece la fama di questa autrice, ma anche “Il Vampiro” di Polidori da cui Bram Stoker trarrà ispirazione per il suo “Dracula”. Devo dire che l’adattamento per un giovanissimo lettore è ben fatto e non lascia nulla al caso; certo sono omessi i lutti subiti da Mary, i litigi, ma del resto la sua storia diventa una favola per bambini dove ognuna, coltivando la propria fantasia, può arrivare a scrivere una storia unica.

Sono molto legata a questa scrittrice, mi piacerebbe poter raccontare questa vita fatta di testardaggine e unicità ai miei figli; questo credo sia il volume migliore per mostrare che a volte, avere la testa nelle nuvole, potrebbe portarli ben oltre ciò che riescono a immaginare.

Recensione di Middlegame di Seanan McGuire

Recensione di Middlegame di Seanan McGuire

Due gemelli. Non generati ma creati, divisi alla nascita perché potessero progredire e aprire le porte della città impossibile. Roger e Dodger, sono due bambini adottati. Il primo vive a Cambridge e ha una propensione per la parola in ogni sua forma, la seconda in California a Palo Alto e è un piccolo genio della matematica. Sono stati separati eppure grazie alla mente si riuniscono. Qualcuno però li vuole separati.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ho visto accusare milioni di volte Mondadori per aver portato in Italia solo quello che vende, eppure trovo che la pubblicazione di questo volume sia una scelta molto coraggiosa. No, non è il solito young adult, e NO, non è una storia così semplice e lineare da poter accontentare tutti i lettori.

Partiamo dal presupposto che importare questa autrice nel nostro paese, e farlo con un titolo così sperimentale, è un autentico azzardo. Già dalle prime pagine si capisce che il lettore non avrà vita facile. Non ci saranno spiegoni a raccontare l’alchimia e ci si troverà con il dubbio che sia una rivisitazione de “Il moderno prometeo” (leggendo di Reed) dove sette segrete progettano un modo per usare le antiche dottrine per raggiungere la città impossibile.

Vi confesso che affrontati i primi, molto confusi, capitoli, si percepisce subito che l’autrice sa scrivere divinamente: i primi incontri tra Dodger e Roger, per esempio, sono davvero godibili. Ci sono bellissimi passaggi che fanno emergere le doti narrative che potreste non trovare nei primissimi capitoli che, con una struttura meno lineare, non lasciano cogliere al lettore la magia che davvero si nasconde in questa storia.

È il caso di dirlo, non è una lettura così facile. Il fatto che esistano complessi meccanismi nella trama, che non vengono sempre palesati al lettore, rende la lettura un poco disordinata. Ci sono riferimenti all’alchimia, ma allo stesso tempo si inseriscono elementi legati ai tarocchi (il Re di coppe e alla Regina di bastoni) come anche una continua citazione al romanzo “I figli dell’Invasione” di John Wyndham. L’insieme non stona, ma ammetto che ho provato anche ad approfondire questi elementi, senza però vedere così bene il quadro generale del mondo descritto dall’autrice.

La struttura narrativa risente della sperimentazione dove tra salti temporali, dilatazioni di scene che potevano essere descritte in due o tre righe, alcuni elementi sottointesi, si arriva a metà libro domandandosi quale sia l’obbiettivo della storia, rischiando di bloccarsi.

C’è una cosa che mi ha dato davvero troppo fastidio nella lettura di questo volume: le parentesi. Già perché l’autore si permette delle pause dai fatti con lunghe parentesi che approfondiscono i pensieri dei personaggi o alcune situazioni, e di solito è sempre il momento meno adatto per divagare. Sono stati punti della lettura che proprio l’hanno resa frustrante, interrompendo il ritmo della scena facendomi quasi pensare di saltarli (anche se a volte servono a dare maggiore spessore alla trama o al personaggio). Andavano a mio parere collocati meglio nel testo.

Gli antagonisti, Reed e Leigh, sono interessanti ma troppo rinchiusi nel loro antro oscuro per dare il meglio di loro nella storia. Un peccato, anche se per fortuna Erin prende il loro posto attivamente nel libro; eppure si sente troppo la loro assenza.

I protagonisti si dividono sui due fronti, Roger che nonostante tutto riesce a integrarsi nel mondo e Dodger che vive estraniata da tutto e non è sicura di voler vivere davvero. Il primo legato alle parole, la seconda che giura fedeltà ai numeri. Confesso di essere #TeamDodger e anzi mi spiace che alcune parti sulla sua adolescenza non siano raccontate. Avrei infatti approfondito di più alcuni momenti della vita dei gemelli, evitando che uno dovesse riassumere gli eventi all’altro.

Dovendo tirare le somme questo non è il solito libro. Vi piacerà? Non sono sicura ma se state cercando qualcosa di diverso dal solito ve lo consiglio caldamente, dovrete forse avere molta pazienza con lui, ma vi ripagherà. È un volume unico? Sni… diciamo che un finale lo troviamo, ma l’autrice potrebbe sempre decidere di chiudere alcune questioni lasciate in sospeso.

Libri bruciati e contratti panda: Il giorno dopo il lieto fine

Libri bruciati e contratti panda: Il giorno dopo il lieto fine

Il bellissimo video di Sara Gavioli ha avuto il coraggio di esporre una dura realtà: esistono libri che, per un motivo o per l’altro, non hanno la fortuna degli altri. Sono volumi che al termine della loro vita nel mondo editoriale, tornano in un cassetto, anneriti da un mondo che magari non li ha notati su scaffali troppo affollati, o forse i lettori non hanno mai voluto leggere la loro sinossi perché la copertina proprio non li ispirava, o perché magari non hanno avuto la promozione adatta. Insomma difficilmente un libro edito torna nelle librerie con un nuovo editore, contratto, editing e copertina, se alla fine nella sua prima vita non ha fatto grandi numeri.

Questo era il destino riservato a “Infelici e Scontenti”. Ormai aveva fatto il suo corso. Non che l’editore non lo avesse spinto alla sua uscita, anzi, ma per diverse ragioni non ha mai fatto grandi numeri. Come se non bastasse, qualcuno mi aveva consigliato di ritirare i diritti ben prima della fine del contratto, un errore madornale visto che questo fantomatico editore che “mi voleva tutta per sé” si è rivelata un’autentica “sola”: ricordatevi sempre, se vi vuole veramente un editore deve anche garantirvi una data di uscita e soprattutto rispettarla, e magari prima di dire “ti pubblico” deve leggerlo il romanzo; se vi mettono sotto contratto qualsiasi cosa scriviate forse quel “professionista” lo è solo per auto proclamazione.

Avevo in mente di pubblicare il libro in self, ho valutato di farlo illustrare, ma in quarantena ho scelto di trovare per lui un nuovo editore. Chi però avrebbe mai voluto un libro bruciato, con l’aggravante di essere una raccolta di racconti? Già perché come se non bastasse, il formato narrativo è pure il meno ideale per il mercato odierno.

Non lo consideravo un libro ormai senza speranza, aveva e continuerà ad avere delle grandi potenzialità, ma rimane il mio miglior lavoro fino ad ora pubblicato (sì, lo reputo superiore a “Delicato è l’Equilibrio”), per questo ho fatto quello che andava fatto: l’ho sfilato dal cassetto, l’ho pulito dalla fuliggine, ho riletto e rimosso refusi e mi sono guardata in giro. Indovinate un po’? Eccolo ora edito con un contratto che definirei Panda, se quello di Silvia Pillin è unicorno, il mio è meno raro, ma comunque in via di estinzione.

Sono contenta di questo nuovo passo, confido che questo libro raggiunga chi non lo aveva scoperto nel 2016, e che magari spinga chi lo ha amato a rileggerlo.

La copertina e gli interni mi piacciono moltissimo, vanno ben oltre a quanto potessi immaginare, sono semplici ma d’effetto, rendono giustizia a quelle storie scritte in un periodo molto buio del mio passato.

Il nuovo titolo poi credo sia la ciliegina sulla torta. Quando l’editore mi ha consigliato di cambiarlo ero turbata, non sapevo dove avrei potuto trovarne uno migliore. Dopo tante riflessioni, mentre cenavo accompagnata dalla visione (ormai per la terza volta) di BoJack Horseman, sento una frase di Diane: “Il matrimonio è stato fantastico, ma quella non è la vita vera. Voglio dire che ho avuto il lieto fine, ma per ogni lieto fine c’è anche il giorno dopo il lieto fine, chiaro?” Eccolo il titolo perfetto “Il giorno dopo il lieto fine”!

Questa esperienza mi ha insegnato che devo credere nel mio lavoro. La vita non è fatta solo di successi, a volte si fanno cazzate, ma se si vuole davvero rimediare il sistema è solo uno: rimboccarsi le maniche e se ancora non basta beh riprovate, solo chi abbandona i propri sogni non realizzerà nulla.

Inizio questa nuova avventura con Segreti in Giallo Edizioni, sono emozionata e felice, forse non ho raggiunto il nirvana, però ci sto lavorando ogni giorno, un passo alla volta, quello di oggi ha l’impronta leggera e delicata di una farfalla.

Recensione: Le quattro Piume di A. E. W. Mason

Recensione: Le quattro Piume di A. E. W. Mason

Inghilterra, 1882. Harry Feversham si ritira dall’esercito abbandonando i suoi compagni al fronte in partenza per il fronte. La conseguenza del suo gesto  sono tre piume bianche, contenute in una piccola scatola ed inviate da tre suoi amici fidati, che attestano la sua codardia. A queste se ne aggiunge una quarta, quella della sua fidanzata Ethne che rompe il fidanzamento, sconvolta che l’amato si sia dimostrato pavido. Harry però non è un codardo e partirà per il Sudan per restituire le piume proprio quando i suoi tre amici saranno in difficoltà…

Avendo visto il film, prima di aver letto il libro, avevo una paura matta che leggerlo lo avrebbe rievocato troppo. Sono passati anni da quando lo vidi e fortuna vuole che a parte la premessa delle piume, non ricordassi così bene tutti gli eventi. La lettura quindi è stata godibile dal primissimo capitolo. L’unica cosa però che è completamente diversa, e me lo ricordo benissimo, è che i fatti sono molto più incentrati sull’Inghilterra che sull’Egitto e il Sudan. Infatti non seguiamo subito Harry nelle sue imprese, anzi spesso è in Inghilterra che vediamo i passi in avanti e non la si vive tutta direttamente sul campo (anche se poi ci sono molti punti in cui la narrazione si sposta appunto su Harry). È un po’ come se le piume fossero le vere protagoniste, più che Harry, vediamo le conseguenze di un gesto che avrebbe potuto distruggere la vita di un uomo e invece ha creato una storia di riscatto; non assumere il proprio dovere in battaglia avrebbe distrutto l’onore per la famiglia Feversham che conta generazioni al servizio della corona.

L’esperienza dell’autore riesce a portare sulle pagine il mondo dell’esercito senza che questo soffochi la storia, sì, troviamo avventura e la magnificenza esotica delle terre lontane, ma anche romanticismo. Seguendo la vita di Ethne mentre Harry è lontano ci troviamo a tifare perché lui torni a casa salvo, anche se ormai lei dice di non amarlo e ha custodito solo una foto. L’autore poi sfrutta il personaggio di Jack Durrance che sembrerebbe a un primo occhio come un semplice personaggio secondario, e invece rimasto cieco, si trasforma in protagonista e, grazie al suo intuito, scopre il segreto di Harry e si arma per aiutarlo indirettamente.

Si tratta di un libro pubblicato a inizio ‘900 e un poco si sente. I primi capitoli sono ricchi di nomi e situazioni e se siete abituati a letture leggere potreste rischiare di perdervi. Ci sono ottime descrizioni tipiche dei romanzi ottocenteschi: il lettore comodamente seduto a casa può viaggiare e sentire il profumo della sabbia del deserto. Anche la scelta dell’intreccio che contrappone Inghilterra e Sudan/Egitto rende dinamica la storia spingendo il lettore a continuare a leggere per sapere. Ammetto però che ci ho messo un po’ a entrare in sintonia con la storia, forse perché poco abituata allo stile dell’autore, ma vi confesso che non è una lettura pesante, anzi, una volta affezionati alla storia e ai personaggi difficilmente si abbandona la sua lettura. Questo è il primo libro di Mason che leggo, ma la casa editrice mi ha omaggiato di un secondo volume “Il fiore e le spade” che spero di iniziare presto.

A chi consiglio di leggere questo libro? Se amate i romanzi storici questo non dovete perdervelo, è un autentico gioiello che va scoperto e non può mancare nelle vostre librerie. Non so se lo consiglierei a giovani lettori, anche se far riscoprire il senso dell’onore ai giovani sarebbe cosa buona e giusta (mi sento vecchia nello scrivere queste parole). Infine lo consiglio moltissimo a chi cerca un buon libro dal sapore classico, la traduzione è ottima e sono certa che questa avventura vi spingerà a cercare gli altri libri di questo autore.

Recensione: Io sono leggenda di Richard Matheson

Recensione: Io sono leggenda di Richard Matheson

Robert Neville è rimasto da solo. Potrebbe anche essere davvero l’ultimo che ancora sopravvive a tutti i vampiri che la notte percorrono la città. Passa le sue giornate a costruire paletti, controllare che la casa sia insicurezza, a prova di attacco, e bere whisky. Che futuro potrà mai avere un sopravvissuto, che da solo cerca una spiegazione e una soluzione per tutti i vampiri che hanno ormai invaso il mondo?

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

Ho letto di vampiri classici, di vampiri che luccicano e fanno perdere la testa alle adolescenti (e non), di vampiri creati in laboratorio, romanzi che alla fine sono piccole fan fiction di Dracula di Coppola e mi fermo qui perché potrei continuare. Insomma il vampiro mi ha sempre affascinato, ma “Io sono leggenda” di Richard Matheson mi mancava proprio, quindi ho colto l’occasione per poterlo leggere grazie alla nuova edizione tradotta di nuovo e riporta in libreria questo classico edito nel 1954.

Ciò che mi aveva tenuta lontana da questo libro era stato il film, avevo provato a vederne i primi minuti e ero rimasta terrorizzata dalla morte del cane. Ricordo di aver fermato il film e da allora vi confesso non ho più tentato di vedere come andasse a finire. Sono certa che molti abbiano apprezzato il lavoro di Will Smith ma io non sono fatta per questo genere di film. L’orrore mi piace soltanto su carta, e infatti il libro è stata una spiacevole lettura. Le scene di suspense mi hanno spinto più volte a prendere una pausa perché avevo davvero troppa paura di leggere altro, questo è il vantaggio dei libri rispetto ai film, i codardi come me possono prendersi anche uno o due giorni prima di proseguire la lettura.

L’approccio del personaggio al problema “vampiro” è uno dei più originali che abbia mai letto: niente ricerca di immortalità o caccia sfrenata per salvare il mondo, Robert si dedica a capire perché i vampiri siano così spaventati dalle croci e odino l’aglio, da dove siano arrivati. Sì, i vampiri di “Io sono leggenda” presentano le caratteristiche classiche, dormono di giorno, muoiono se esposti al sole o colpiti al cuore con paletti di legno, gli elementi innovativi (almeno per me) sono nella distinzione tra vampiro “vivo” e “morto”, il primo è senziente il secondo è più mosso dalla fame, a cui si aggiunge il fatto che siano inseriti in un mondo che sembra post apocalittico, dove ormai si da per scontata la presenza degli zombie. L’approccio scientifico del protagonista lo porta a sperimentare fino a cercare la vera origine di un morbo che sembra aver distrutto la civiltà, arrivando a scoprire un germe che agisce sul corpo umano portandolo alla condizione di succhiasangue quasi immortale.

Devo confessarvi che leggerlo ora, dopo la quarantena, mi ha a volte spaventato e altre fatto riflettere su come io avrei potuto affrontare la fine di una civiltà se fosse prossima: un consiglio, tenete sempre una copia a portata di mano, ci potrete trovare l’ABC per sopravvivere a un mondo post apocalittico. Non sto scherzando, l’autore da tutti gli elementi necessari per crearsi una casa fortezza e spiega anche come recuperare cibo e acqua.

Il romanzo contiene momenti di ansia, di terrore e solitudine fino al colpo di scena finale quando l’autore rivela il suo spietato talento: Richard Matheson trasforma la vittima in carnefice. Leggendo la postfazione di questo volume, si scopre quanto questo genere di finali molto inaspettati siano una chiave comune del lavoro di questo scrittore, che vanta racconti e libri che sono poco conosciuti e che credo sia proprio il momento di riprendere in mano per scoprire questo autore americano che ha portato l’orrore nella cultura moderna, e cito, una autentica macchina creativa del Novecento americano.

Ci sono tante edizioni di questo libro, del resto ha la sua età ma sta invecchiando benissimo, eppure mi sento di consigliarlo in questa nuova edizione. Tradotta bene e soprattutto con una postfazione che da al lettore degli elementi per conoscere meglio questo autore che ha ispirato lo stesso Stephen King.

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Recensione: Crescent City – La casa di terra e sangue di Sarah J. Maas

Bryce ama divertirsi con la sua amica lupa Danika. È una mezza Fae, considerata da troppi uno scarto, ma la sua vita in fondo le piace. Quando però, rientrando urbriaca e anche strafatta trova il cadavere della sua amica e del gruppo di lupi, la sua vita cambia per sempre.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

La serie “Throne of Glass” non mi aveva fatta impazzire e il cambio formato da parte della Mondadori mi aveva portato a interrompere la sua lettura, quindi ho voluto dare una seconda possibilità con questa nuova saga a Sarah J. Maas. Ora è chiaro che l’autrice abbia fatto successo, ma davvero non capisco perché nessuno, ma proprio nessuno, abbia pensato di far notare all’autrice che alcuni passaggi erano davvero eccessivi: in scene dove stiamo cercando di capire ancora come funzioni il mondo da lei creato, ecco che entra a gamba tesa a spiegare un dettaglio del mondo creato, restando su questo per molto. In più punti queste descrizioni lunghe di fatti che non sta vivendo la protagonista risultano di troppo. È chiaro che il lavoro dell’autrice punti a dare al lettore le informazioni chiare per comprendere il complesso mondo e la città di Crescent City, ma come sempre è meglio che il lettore viva certe informazioni più di sentirsele spiegare.

Il word building è davvero complesso e anche se a volte sovrasta la trama: come ho già detto ci sono tantissime descrizioni, bellissime ma a mio parere andavano smussate per lasciare spazio alla trama. La storia è davvero complessa: quando ho provato a riassumere il libro mettendomi davanti al pc mi sono resa conto che non è così semplice, ogni evento è concatenato in maniera che non stia in piedi senza poter conoscere i retroscena dell’ambientazione, il tutto infatti è fuso in maniera indissolubile, anche se come ho già detto, forse la costruzione del mondo soffoca troppo (soprattutto) i primi capitoli.

Bryce come protagonista non mi è dispiaciuta e anche Danika (per quanto non sia presente fisicamente) non sono le macchiette: spesso con il loro modo un po’ ribelle cercano di convivere con la difficile responsabilità che hanno sulle spalle, mi è piaciuto immedesimarmi in entrambe.

Le componente maschile aggiunge una nota romantica al romanzo: Hunt che cerca di risolvere il caso nei tempi stabiliti dal governatore così che possa riscattare la propria libertà (o quasi) è affiancato alla protagonista a cui si legherà moltissimo e si contrappone a Rhun, principe succube di un padre che già sta intavolando per lui un matrimonio e vuole soltando aiutare la “cugina” Bryce a continuare a vivere dopo la perdita della cara amica.

Il finale è un po’ troppo una americanata, non faccio spoiler, ma vi confesso che ci sono: il colpo di scena che grazie a una incomprensione fa sentire tradita la protagonista, il conto alla rovescia, il cattivo che spiega tutti i suoi misfatti e i piani, le esplosioni… non fatemi continuare fidatevi solo che a un certo punto mi aspettavo pure qualche resurrezione.

Quindi? Non è in libro scorrevole, ma i difetti più grandi li ho trovati più nella traduzione, mi auguro che sul cartaceo questi refusi e errori siano stati tolti. Nell’insieme è una storia godibile, forse mi aspettavo qualcosa in più, ma non mi sento di crocifiggere un libro che, per quanto non eccelso, mi ha fatto buona compagnia. Non è una lettura così brutta e credo che i giovani lettori l’apprezzeranno (anche se dai, le scene hot ce le poteva risparmiare la Maas), se amate il genere Urban Fantasy con una buona dose di Paranormal Romance allora dovete leggerlo, per i puristi del genere invece lasciate stare.

Buon “non” Compleanno Alice

Buon “non” Compleanno Alice

Domani sono esattamente 158 anni da quando Charles L. Dodgson e l’amico reverendo Robison Duckworth remarono su una barca insieme alle tre figlie di Henry Liddle: Lorina, Edith ed Alice. Un pomeriggio come molti altri che però spinse Charles a scrivere un racconto che poi divenne romanzo firmato con lo pseudonimo Lewis Carroll.

Mi rendo conto che dopo tanti anni di blog non ho mai parlato della mia collezione dedicata a “Alice nel Paese delle Meraviglie” e al suo autore, direi quindi che oggi è il giorno adatto per porvi rimedio.

La mia libreria conta (non è un calcolo ufficiale) più di cento volumi legati al tema del bianconiglio. Fumetti, saggi, edizioni dell’opera nelle lingue più disparate, illustrate da Tenniel o da artisti più contemporanei, fino all’edizione con i disegni di Salvador Dalì, conta anche reperti più personali quali lettere dell’autore, fotografie che lui stesso scattò ad Alice e a molte altre bambine, e non dimentichiamo manga e retelling ispirati da questa opera. Sto inoltre omettendo quella piccola parte della casa in cui ho accumulato agende, piccole action figures, spazzole, trucchi e altri accessori legati al tema. Se pensate che tutto questo possa bastare, vi sbagliate perché ogni giorno continuano ad arrivare piccoli elementi ad arricchire la collezione.

Avevo diciotto anni quando lessi per la prima volta il romanzo originale, in una edizione davvero ben tradotta dalla Mondadori, dove le note offrivano spunti di riflessione. Non so se fu il fatto che questo libro potesse essere una grande fonte di collegamenti per la mia tesina o se semplicemente rimasi colpita da alcuni significati reconditi (come quello offerto dal Dogma alla filastrocca del Tricheco e il Carpentiere) a cui l’opera si presta tutt’ora. Inoltre più leggevo i misteri legati all’autore, più Alice e Lewis mi appassionavano, ma non ero l’unica visto quanto questa opera sia entrata nella cultura influenzandola, creando connessioni forti.

Inizialmente puntavo solo a quelle versioni ricercate che avevano più illustrazioni o approfondimenti, poi, lavorando nelle spedizioni internazionali, con colleghi che viaggiano in tutto il mondo per lavoro e non, la situazione mi è sfuggita di mano. Sono arrivata anche a chiederle come souvenir agli amici che vanno all’estero, della serie: “lascia stare le calamite, entra nella prima libreria e chiedi Alice nell’edizione più bella che trovi, te la pago”.

Ho edizioni Canadesi, Svedesi, Australiane, Coreane, e persino Kazache. Ma anche alcune economiche, altre rilegate, altre ancora con copertine in pelle e decori in oro.

Come ho detto non mi fermo al libro in sé, anzi, ogni retelling che arriva in Italia e cade sotto i miei occhi è mio. Fumetti, adattamenti per i bambini, film, dvd e prossimamente mi metto al lavoro per i videogiochi, promesso. Anche i saggi su Lewis o Alice Liddle (la bambina che ispirò l’autore a scrivere la storia) non sfuggono e, quando qualcuno ne cita alcuni in lingua inglese (se ne trovano davvero pochi in lingua italiana), cerco di recuperarli subito se il prezzo lo permette.

Perché? Non saprei darvi una chiara risposta. È nata come amore, sta forse diventando ossessione, ma come la stessa sua fonte non ha bisogno di un senso. È un gioco, un qualcosa che vorrei lasciare ai posteri, un modo di investire i miei soldi per creare qualcosa che un giorno vorrei ricordasse chi sono: una pseudo-scrittrice fissata con i libri di una sua omonima.