La tuffatrice di Julia von Lucadou

La tuffatrice di Julia von Lucadou

Riva è una tuffatrice, i suoi lanci dai grattaceli sono i più premiati e seguiti. Ha un compagno che la ama, una vita che sembra perfetta da ogni lato. Eppure, senza una ragione specifica decide di smettere con i tuffi, di fregarsene di tutto. Per questo a Hitomi Yoshida viene affidato il compito di riportarla sui suoi passi. Gli investitori e l’allenatore rivogliono Riva sul trampolino, pronta a gettarsi ancora e ancora, a sponsorizzare i prodotti.
Attenzione, questo libro è stato fornito da Carbonio Editore.
Ve lo confesso, sarà difficile parlarne e questo significa due cose: non è un libro che si può semplicemente raccontare, va letto per essere scoperto nella sua interezza, e inoltre riassumere certe situazioni mi sembra riduttivo dopo averle vissute pagina dopo pagina.
La lettura è stata quasi deviante, la sterilità di emozioni che traspare dalla sua lettura mi ricorda ormai quello che accade sui social. Tutti a dire la propria su un fatto, ma nessuno che combatte più delle vere battaglie per i propri pensieri. Basta un RIP in bacheca per sentirsi parte di un lutto, basta dire la propria opinione su quell’argomento e vi siete espressi prendendo una posizione su fatti che magari andrebbero approfonditi prima che giudicati. A questo si devono aggiungere i Casting Queens™ che hanno il sapore dei nostri talent show, dove si determina il destino dei partecipanti, dando la possibilità a tutti di arrivare a ottenere una fuga dalle periferie. Una costante ricerca del successo, dei numeri, del creare contenuti che vengano condivisi e commentati. Il bisogno di enfatizzare le proprie parole con frasi fatte inglesi che sembrano quasi l’evoluzione dei nostri hashtag. Vorrei tanto pensare che il mondo creato dall’autrice fosse lontano, invece il terrore è che lo vedo già in costruzione oggi.
Non è una distopia commerciale, la si può semmai ricollegare a grandi nomi del genere, con l’innovazione di una visione contemporanea. Il mondo del lavoro che schiaccia i lavoratori, il constante bisogno di dare migliori prestazioni, avere migliori crediti per potersi permettere una casa migliore una vita migliore.
L’aspetto psicologico di questa società che ha tablet costantemente in mano, che è sorvegliata in ogni suo ambito, è un altro elemento ansiogeno: Hitomi che non ha una sua propria convinzione, ma ha sempre cercato di dare il massimo e di dimostrarsi degna delle opportunità che otteneva, dovrebbe offrire supporto psicologico a Riva, o meglio, deve riportarla a essere di nuovo quella che gli altri vogliono che sia, e i suoi successi e insuccessi determinano quanto meriti avere dei crediti e quanto invece potrebbe perdere tutto. Perfino le proprie prestazioni fisiche, il rapporto tra sonno e veglia, sono tutti fattori che rendono una persona migliore o peggiore delle altre. C’è una costante ansia di essere nella media o di fare meglio degli altri.
Non credo che questo libro sia per tutti, ma credo che tutti dovrebbero leggerlo per capire quanto la caccia di like e follower potrebbe portarci a un mondo in cui contano solo i numeri e non quello che vogliamo essere.

Recensione di Pâtisserie Française – Macarons in cerca d’amore

Recensione di Pâtisserie Française – Macarons in cerca d’amore

Ci sono tanti scrittori là fuori che raccontano storie d’amore. L’incontro di due parti che finiscono per provare qualcosa di unico e speciale l’uno per l’altro. Il canovaccio romantico è abbastanza semplice, ma non possiamo negare che ci sono autrici che riescono a raccontare l’innamoramento in maniera unica. Ecco Margherita Fray credo sia una delle poche scrittrici in Italia che riesce a farlo con maestria e frizzantezza.
Attenzione, questo libro è stato fornito dalla Fragolottina Inc., ma ne ho anche comprato una mia copia, per correttezza ve lo segnalo.
Siamo a Roma e la nostra protagonista è Veronica, una ragazza che dovrebbe essere biologa e felicemente fidanzata, ma in realtà ha mandato alle ortiche studi e una relazione stabile perché dalla vita voleva di più. Si sente in colpa per non riuscire più a credere più nella possibilità di un amore stabile, la svolta però arriva quando su un annuncio legge che la famosa “Pâtisserie Française” sta cercando personale e lei con la sua poca esperienza ci vuole provare. Il colloquio va bene e male. Il borioso pasticcere francese Pierre, di cui non si può negare la bellezza, non la sopporta, mentre invece la proprietaria Eleonora trova che sia perfetta per il ruolo.
Ci sono le basi per una storia come molte altre, ma quello che fa la differenza è l’elemento alla “Fray” un susseguirsi di situazioni comiche, figuracce e botta e risposta che rendono l’aria elettrica anche intorno al lettore. A questo poi vanno aggiunte le sapienti metafore riadattate al mondo culinario, dove con uno spirito che si potrebbe definire semplicistico a un primo occhio, l’autrice ci mostra quanto sia bello riuscire a vedere l’amore nelle piccole cose; una delle mie preferite è quando Veronica si impersona cupido e si metta a trovare l’anima gemella di ogni pezzo di macaron mentre li si assembla.
L’autrice però non si sofferma solo sui personaggi principali, la vita di Veronica è complicata come quella della nostra vita reale: amicizie strane, ricerca di una nuova relazione per chiudere con il passato, insomma il mondo dietro al lavoro in pasticceria è molto più vasto; dopo soli pochi capitoli si vorrebbe avere amici come Tiziana e Samuele, e vi confesso, anche un Luca come vicino di casa.
Non sono solita apprezzare così tanto un chicklit, eppure quelli di questa autrice non hanno mai deluso. MAI. Non annoiano, non si fermano al semplice intrattenere, accompagnano il lettore in una fantasia piena di emozioni in cui vuoi ritornare ogni volta che finisci la loro lettura; questa volta mi ha portato in un mondo caldo e profumato di cioccolato e crema pasticcera.
Consigliato a chi legge questo genere. Consigliato a chi ha bisogno di una fuga letteraria romantica. Consigliato anche a chi non leggerebbe storie come questa, perché non ce la farete pas a resistergli.

Recensione Falce di Neal Shusterman

Recensione Falce di Neal Shusterman

Se la mortalità fosse sconfitta, se a tutti noi venisse concesso di vivere eternamente, il mondo non reggerebbe la nostra presenza, tutti questi immortali che continuano ad avere figli anche a cento o duecento anni: continuare a crescere di numero, senza che la morte possa ridurlo naturalmente sarebbe impossibile perché non ci sarebbero le risorse. Sono queste le premesse di Falce, una distopia young adult che racconta di uomini e donne incaricati appunto per incarnare la morte.

Attenzione, questo libro è stato fornito da Mondadori.

Citra e Rowan sono due adolescenti che entrano in contatto con una Falce e dimostrano di avere la propensione per il lavoro di spigolatura (nome del processo messo in atto dalle Falci quando donano la morte): i due ragazzi hanno pietà e soprattutto non sceglierebbero mai la via delle Falci.

La premessa è davvero molto interessante e infatti mi è spiaciuto che i toni della storia siano semplificati per rendere la storia adatta al pubblico giovanile, perché se trattata con la giusta forza sarebbe stato un romanzo davvero molto forte. Non posso però negare che sia un ottimo young adult distopico con tutti gli elementi che lo potrebbero trasformare in un successo editoriale.

I personaggi sono ben costruiti anche se devo ammettere non hanno nulla di originale e anche lo stile con cui è scritto il romanzo tiene il lettore più consumato troppo a distanza da Citra e Rowan, forse se vissuti di più attraverso le loro azioni avrebbero emozionato di più il lettore; infatti le prime pagine, quelle più importanti, dove Citra e Rowan sono appunto chiamati a essere apprendisti Falce, la narrazione corre senza mostrare appieno le attività e le prime spigolature a cui prenderanno parte: sono raccontate con frettolosi flashback spiacevoli, in tal modo la scena risulta molto distante. A ciò la storia d’amore mi è sembrata molto forzata, della serie “non poteva mancare, mettiamola” e forse se si fosse approfondito il primissimo periodo di apprendistato, la costruzione di una relazione tra i protagonisti sarebbe stata più coerente nell’insieme della storia.

Ci sono diversi punti del romanzo che ho trovato interessanti. La storia si svolge in un futuro lontano dove, senza la morte, sconfitta la povertà, la gente vive ma è anche scossa da una noia di esistere, per esempio il miglior amico di Rowan, Tyger, attira l’attenzione della sua famiglia attraverso continui lanci nel vuoto, da cui viene rianimato e curato. Anche l’idea che a gestire il mondo non ci siano governi, ma un sistema evoluto di un Cloud, il Thunderhead, è un elemento intrigante che non è stato sfruttato come un grande fratello, ma appunto come un’enorme mente a disposizione del mondo. Pensando ai suoi algoritmi e interfacce mi sono immaginata un possibile Google del futuro.

Sono sinceramente molto divisa su questo volume e non mi sento di consigliarlo a tutti. È una lettura con ottimi spunti, eppure è stata scritta a mio parere con troppa semplicità, sarà certamente un libro molto ricercato, ma devo confessare che sarei spinta a comprarlo più per lo splendido lavoro grafico che per la storia. Anche se… siamo solo al primo volume di una trilogia. Sono curiosa di scoprire come continuerà la storia per capire se forse, questo volume, ci ha preparato a una storia molto più concreta. Per ora mi sento di consigliarlo a chi ha amato saghe come quella di Divergent e Hunger Games, e a lettori giovani, che in questa storia troveranno certamente un buon passatempo, a quei lettori un poco più navigati invece consiglio di passare oltre.

Sono sbarcata su Alexa

Sono sbarcata su Alexa

La skill di Alexa de “I libri della Chimera” viene già usata da molti e alcune colleghe sono rimaste piacevolmente colpite dalla mia scelta di portare il blog su Alexa, altre invece la trovano una scelta che fa perdere alla parola scritta la sua efficacia, castrando la magia della lettura, quasi fosse una scorciatoia semplicistica.
Facciamo un passo indietro, a prima della mia seconda presentazione di “Delicato è l’Equilibrio” che segnò l’incontro appunto con questo amabile dischetto parlante; parliamo della prima presentazione tenutasi al Bar Cin Cin Nato il 13 dicembre. Tra la gente che era venuta c’era una ragazza con disabilità visive, ascoltava e poneva domante davvero interessanti. A fine presentazione venne a stringermi la mano e mi disse una frase tipo: “Non comprerò il cartaceo, ma se mi dici che c’è l’e-book su Amazon lo compro e lo ascolto”. E Greta, questo è il suo nome, lo fece davvero, e a ascolto terminato, mi fece notare che il mio libro aveva qualche refuso.
Capii che le potenzialità degli strumenti di lettura automatici, per esempio Alexa, andando appunto alla mia seconda presentazione capii l’importanza di questi strumenti per integrare il blog anche a quelle persone che hanno non solo poco tempo, ma soprattutto disabilità.
Al FRI 2019 avevo già affrontato con l’editrice della Royal Book Edizioni l’importanza di andare incontro a quei lettori che soffrendo di cecità o ipovedenti non hanno un catalogo vario di letture da poter ascoltare o leggere in braille e Alexa si rivela uno strumento molto utile per sopperire ai costi eccessivi degli audiolibri, dando una soluzione alla portata di tutti i lettori e editori (ma nello specifico ne parleremo in futuro in un articolo dedicato).
Insomma Alexa è uno strumento che può creare un ponte anche con quelle categorie fuori dai normali standard. Non parlo solo di utenti disabili, ma anche delle tante persone che guidano per ore e ore (ora con il Covid19 sono a casa) e che approfittano di questo genere di strumenti per ascoltare libri e non solo. I podcast sono uno strumento potente e Alexa può produrre contenuti simili anche per chi non ha la strumentazione per registrarne uno proprio.
Devo però confessare che avendo un programmatore in casa è stata una passeggiata, o quasi perché non sempre Amazon aiuta, infatti, guarda caso, la mia skill è consigliata a un pubblico adulto o a bambini sotto la sorveglianza dei genitori. La Skill è nata durante le vacanze di Natale, dopo la mia ultima presentazione a Brescia, complici quei pazzi del Comics League of Brixia che ci avevano spiegato come poteva lavorare Alexa, ho schiavizzato il mio omino che ha prodotto la skill e una seconda è in lavoro (ma ne parleremo più avanti).
Cosa è cambiato con Alexa? Alla fine poco o nulla, ma devo ammettere che devo rispettare alcuni limiti di caratteri perché lei legga gli articoli; i lettori, nuovi e vecchi la stanno usando, e la mia speranza è che questo strumento li porti a conoscermi ma anche a conoscere meglio i libri che amo.

Recensione Erich e la Città di Sale di Gaia Verzegnassi

Recensione Erich e la Città di Sale di Gaia Verzegnassi

Se esiste la perfezione, questa è certamente lontana dal nostro giardino, quello del vicino è sempre più verde, non importa cosa ci sia alle spalle di tutta quella bellezza, in quanto tale va goduta, non si può rimanere e negare la sua esistenza. A volte serve toccare con mano per capire quanto poco ci sia di perfetto in ciò che non conosciamo.

Attenzione questo libro è stato fornito da I.D.E.A. – Immagina Di Essere Altro.

Ie Ajn è una città da sogno che il nonno di Erich ha sempre descritto come un luogo speciale, unico e soprattutto l’incarnazione di giustizia. Un luogo dove gli uomini sono liberi, dove i criminali pagano il loro debito con la società perdendo la vita, su cui regna una regina che cela il suo volto ma che tutti venerano come fosse una divinità.

Il libro ha tutta la delicatezza di un esordio, a volte ingenuo a volte fresco come solo alcuni giovani autori sanno ancora sognare. Finalmente un fantasy in cui non c’è il viaggio dell’eroe classico, ma semmai un viaggio molto simile a quello che, ingenuamente, molti giovani compiono legando il desiderio di diventare davvero adulti al bisogno di trovare un nuovo luogo dove mettere radici, dove non si ha mai vissuto, reputandolo migliore a priori per sentito dire, perché diverso e quindi perfetto. Ecco questa è una avventura che racconta quanto nulla sia perfetto, che ogni cultura ha dei difetti e che l’utopia è sempre e solo irrealizzabile.

Ho trovato degli elementi davvero interessanti come gli immortali che vivono impalati sulle mura, in una eterna condanna o anche la regina velata che, nel finale, racconta una verità davvero difficile da accettare. Piccole chicche, come anche i bestiali di cui avrei voluto leggere di più nella storia, perché forse l’unica pecca è la mancanza di padronanza dello “show don’t tell” che spero l’autrice impari a padroneggiare perché le idee ci sono tutte per creare dei fantasy davvero coinvolgenti e soprattutto fuori dagli schemi.

Mi sento di consigliarlo a giovani lettori per viaggiare con la mente, ma anche imparare la morale di questo libro. Come sempre questo editore conferma l’amore per la gioventù letteraria del fantasy italiano e onestamente mi auguro non smettano di fare da nave scuola a questi autori che hanno grande potenziale.

Recensione: Un Inutile Delitto di Jill Dawson

Recensione: Un Inutile Delitto di Jill Dawson

Quando mi è stato chiesto di leggere questo romanzo non conoscevo i fatti reali che lo avevano ispirato. La storia contenuta in questo romanzo ha una forte componente reale, l’autrice stessa ha voluto dedicare questo volume a Sandra Rivett, la vittima di un omicidio che ancora oggi non trova giustizia.

Attenzione questo libro è stato offerto da Carbonio Editore.

Londra, 1974. Mandy è una ragazza che ha saggiato il gusto amaro della vita. È pronta a dare una vera svolta alla sua esistenza grazie alla sua amica Rosemary che l’ha raccomandata a una agenzia ed è pronta a iniziare il lavoro di bambinaia presso Lady Morven.

Potrebbe essere il tipico prologo per una storia da sogno, un nuovo inizio e invece racconta uno dei tanti, troppi, fatti di cronaca nera che troppo spesso vengono messi in secondo piano: un femminicidio tra i peggiori della storia inglese.

Mandy come abbiamo già detto ha una storia complicata, arriva persino ad affrontare un periodo di esaurimento facendosi ricoverare in un istituti di igiene mentale, dove appunto incontra Rosemary, voce secondaria di un libro che racconta la vita delle donne, in un periodo dove il femminismo è ancora agli albori.

Una Londra pop, che fonde l’aristocrazia ai colori acidi di un periodo storico che sarà la culla di grandi rivoluzioni. Questo romanzo racconta storie di donne, madri, ragazze, tra flashback e presente a mostrare come non si sia mai preparate alla violenza degli uomini, che non si manifesta solo attraverso l’aggressività ma anche con la meschinità di uomini che amano solo attraverso il sesso.

Un romanzo che da voce a una vittima e parla di una vita (anche se parzialmente inventata) interrotta per errore, per un banale scambio di persona che però non vedrà mai giustizia. L’autrice fa il suo meglio per far entrare in contatto il lettore con la sua storia e tramite Rosemary che, seppure così diversa da Mandy, parla alle donne attraverso tutto lo sgomento del non aver capito per tempo, tormentata anche dal senso di colpa di aver portato l’amica a Londra e sulla strada del suo assassino.

Una lettura che consiglio anche agli uomini per capire il complesso mondo femminile, e il dolore per quelle morti che troppo spesso vengono sminuite dai giornalisti.

Cosa può imparare l’editoria dalla crisi dovuta dal Covid-19?

Cosa può imparare l’editoria dalla crisi dovuta dal Covid-19?

Se nell’articolo precedente ho chiamato alle armi i lettori, ora mi piacerebbe far riflettere gli editori.
Il mercato è saturo da troppi anni; l’esempio più classico per capire quanto la situazione ci sia sfuggita di mano, se cercate un classico ne troverete decine di versioni, economiche, tradotte negli anni ’50 e con pessima carta e impaginazione, illustrate, adattamenti per bambini o ragazzi. Allo stesso modo se aveste mai cercato di seguire le uscite di una settimana di tutti gli editori prima che tutto si fermasse, vi sareste resi conto che sarebbe stato impossibile.
Troppi libri, troppi prodotti per un mercato che parla di una media di libri letti l’anno così bassa che (come mi disse un professore) se io mediamente ne leggo 100 significa che almeno altre 95 persone intorno a me non leggono nulla. Un mercato che si regge sulla convinzione che bastano pochi lettori forti a sostenerlo è già destinato a esplodere. Probabilmente il Coronavirus ha dato la scossa definitiva che potrebbe far crollare tutto.
Cosa può però davvero imparare l’editoria da questo possibile crollo?
Il primo punto è certamente quello di pubblicare di meno e, si spera, meglio. Pochi titoli a catalogo e molto più curati potrebbero giustificare un costo maggiore ma soprattutto rispondere a un mercato di lettori forti, che mal digeriscono la sciatteria di edizioni buttate sul mercato giusto perché hanno venduto bene all’estero, o sono il genere che va di moda, fatte tradurre all’acqua di rose dal primo stagista disposto a lavorare al minimo sindacale.
Il passaggio successivo, quello che a mio parere è il vero nocciolo della questione, è creare lettori. Parliamoci chiaro, se nel nostro paese non si fa cultura della lettura, come possiamo pensare che nuovi lettori sbocceranno per caso? È importante che piccola e media editoria pensi a lavorare sul territorio per insegnare l’amore della lettura troppo spesso delegato alle scuole, legate a programmi antiquati che certo danno delle buone basi, ma non invitano i giovani a credere che la parola scritta sia necessaria; quegli stessi giovani che però apprezzano tanto i prodotti che dalla parola scritta nascono: non sono i film, videogiochi e le serie tv frutto di sceneggiatori, fratelli di penna degli scrittori?
Infine affrontiamo anche il problema e-book. Non amo questo formato, eppure non posso negare quanta differenza abbia avuto nelle vendite in un momento di completa mancanza di distribuzione; potrebbe essere l’e-book la risposta al bisogno di pubblicare comunque libri risparmiando, ma dobbiamo ammettere che per quanto siano un libro, non possiamo pagarli cifre che praticamente sanno di cartaceo, non si può negare che la mancanza di un pezzo di carta faccia percepire al fruitore finale un valore concreto.
Inoltre per garantire di essere letti in digitale, a mio parere, l’unica vera via sarà un sistema abbonamento come quello di Kindle Unlimited. Offrire un catalogo a un prezzo ragionevole, ha più riscontro di quanto lo si voglia ammettere e da anche una chiara idea di quanto e quale libro, tra quelli a disposizione , venga letto. Insomma se i grandi marchi cercassero una soluzione come quella io credo che leggere in digitale pagherebbe con più facilità la filiera.
Io sono solo una scrittrice, una lettrice accanita e non so se questi miei consigli siano sconclusionati o possano davvero essere colti, o magari sono già nelle menti degli editori. Non possiamo negare una cosa: l’editoria deve cambiare e migliorarsi, la mia speranza è che questa momentanea pausa li aiuti a capire che un mercato bulimico non ha futuro.

L’amore per i libri durante il Coronavirus
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L’amore per i libri durante il Coronavirus

In questo momento in cui la nostra vita trova il tempo che è sempre mancato per dedicarlo a se stessi e alle nostre case, sopraggiungono tantissime riflessioni. In particolare, mentre cerco di usare instagram come valvola di sfogo e contatto con il mondo esterno mi chiedo: è giusto parlare di libri mentre la gente muore? I libri e l’intrattenimento letterario sono necessari? E poi ci sono le questioni catastrofiche legata al mercato dei libri che il covid-19 ha ormai scoperchiato: ci sarà ancora un mercato editoriale? La bolla economica di Messaggerie sopravvivrà dopo tutto questo?
La realtà è che non possiamo prevedere cosa succederà e nemmeno giudicare l’etica di chi parla di libri. Non condanno quelle bookfluencer che hanno preferito dare spazio ad altro. Il terrore però di ciò che resterà dopo questa quarantena non è da sottovalutare: i libri non scompariranno mai, al massimo gli ebook avranno la meglio, ma siamo sicuri che tutti quei marchi editoriali ci saranno ancora?
In molti in questi giorni stanno parlando di come questa crisi potrebbe far saltare il complesso sistema di “salvataggio economico” che negli anni distributori come Messaggerie libri, hanno messo in atto per far sopravvivere alcuni nomi (a volte uccidendone altri) e togliendo quel non equo ma sano senso di competizione alla pari, dove chi vende ha i soldi e chi rimane in giacenza dovrebbe evitare di stampare altro. Mi fermo perché non voglio fare retorica spiccia, anche se ora dobbiamo ammettere che il sistema di stampa continua è diventato bulimico: ci sono troppi libri e pochissimi lettori.
Quello che ci aspetta sarà molto simile, ma comunque imparagonabile, a quanto accadde con la crisi finanziaria di inizio 2000: i beni che non saranno di prima necessità e quindi beni superflui saranno i primi a non essere acquistati dall’Italiano medio, e questo porterà alla chiusura di molte realtà, non solo editoriali.
Per questo a mio parere è un bene parlare di libri, comprare, quando possibile, per sostenere quelle realtà che potrebbero uscire davvero a fatica da questo stallo; il tutto aggravato da fiere e librerie che potrebbero restare chiuse per ancona molto tempo.
Non sono una persona cinica, ho persone accanto che stanno perdendo dei parenti e vi confesso che lavorando ancora in ufficio, la paura di portare il virus a casa, le ambulanze che sfrecciano giorno e notte, non rendono i miei pensieri completamente tranquilli, spensierati e puntati su pagine e pagine da leggere e scrivere. Eppure devo riconoscere quanto i libri siano stati importanti nella mia vita e farò quanto possibile per aiutarli ora nel momento del bisogno, così come sostengo altre attività locali comprando prodotti che mi vengono consegnati a casa. Parlarne e comprarli sono le scuse con cui mi distraggo in queste giornate a casa, anche se non leggo, scoprire nove storie mi fa scattare la voglia di comprare, di fingere che tutto sta andando bene; potrebbe essere semplice compensazione e buonismo, ma mi fa stare bene, mi fa credere che anche se uno di voi, guardando le mie stories su instagram o leggendo il mio blog, avrà voglia di comprare e leggere qualcosa di nuovo, penserà per qualche minuto a un libro, lasciando in pausa tutto quello che sta succedendo intorno a noi; forse avrò fatto la mia parte, forse avrò aiutato anche un editore che come me ha famiglia dei dipendenti, ha paura di cosa succederà dopo tutto questo.

Perché scrivo?

Perché scrivo?

Voglio cominciare a parlare della me scrittrice in maniera più costante sul blog e per farlo ho sfruttato un esercizio dello splendido podcast (che potete trovare anche su Spotify) Fabula, scritto e letto da J.A. Windgale: perché scrivo?

Ricordo che nel vecchio blog avevo proprio messo questa domanda nel questionario riservato alle interviste agli scrittori. Perché scrivere quando sembra che ormai sia stato scritto tutto?

Vi confesso che prima di rispondere vorrei tergiversare, vorrei dare maggiore spazio ad altro perché affrontare questa risposta non è affatto facile.

La realtà è che sono ben conscia che in un paese dove per determinare se una regione legga di più usa come unità di misura un libro letto all’anno (mentre io ne leggo una media di quasi 100) fare la scrittrice non sia sinonimo di fama, soldi e successo. Insomma un libro all’anno, e devo pensare che sarà proprio il mio?

Andiamo avanti sennò lo sconforto avrà il sopravvento.

Leggere e scrivere per me sono sempre state scelte legate alla dislessia, la lettura per affrontare il mostro, la scrittura per andare oltre a quello che avevo sconfitto (o quasi). Raccontare però le mie storie è qualcosa di più: lo confesso, non sono mai stata una bambina espansiva, più che giocare, io mi soffermavo a fantasticare. Sì, il giochi che più ricordo con gioia sono quelli che avevano dettagli e storia: ricordo che con i miei vicini di casa cercavamo di sconfiggere l’invasione delle formiche giganti (seduti sulle scalette del notro quartiere e fingendo di essere al comando di una nave spaziale) o quella magica avventura in cui con due amiche dell’asilo incarnavo un gruppo di ladre alla Occhi di Gatto, che faceva scorribande a cavallo di unicorni ricoperti di paillettes e finimenti ricchi di nappe, frange e pizzi. A pensarci bene anche il primo vero libro che ho mai scritto (una fan fiction su Harry Potter) nasceva dal bisogno di stare con una persona amica. Quindi ad esclusione dei miei lavori editi, ho sempre creato storie per stare con gli altri, per colmare quel vuoto costante che sembra essere la mia esistenza.

Scrivere per me è questo. Uscire da quel quotidiano che non mi sono scelta e che mi fa sentire sola anche quando sono circondata dalle persone e sorrido. Scrivere colma quel vuoto infinito, mi fa sentire sovversiva in un mondo di persone perfettine e sempre felice.

Scrivo perché vorrei parlare di quelle storie che spesso nessuno vuole raccontare, dove le cose, come succede nel mondo reale, vanno a cazzo di cane (scusate il termine tecnico). Voglio raccontare fatti tremendi e non perché sono storie vere o vissute, ma perché non sono una che racconta favole, semmai sono quella che svela la tremenda bugia di Babbo Natale ai bambini. Non lo faccio per un piacere sadico, ma semplicemente ho bisogno di far trovare nel mio libro personaggi che soffrono, che combattono con la vita, che infondo mi somigliano molto.

Perché scrivo? Perché le cose non vanno come andrebbero nella mia vita, ma scriverle su un mucchio di fogli bianchi da condividere con altri che se la passano così e così mi fa stare bene, se anche solo uno di loro riesce a capire che non è solo in questo costante disagio d’esistere il mio lavoro sarà compiuto. Forse chiedo troppo, forse dovrei scrivere romance di serie B e tirare su quei 4 spicci per pagarmi tutti i libri che ho in casa, ma nella realtà, voglio solo parlare della mia complessa solitudine in un mondo di gruppi in cui non riesco a trovare il mio spazio.

Una Planchette per domarli tutti

Una Planchette per domarli tutti

Uno degli elementi a me più cari di “Delicato è l’Equilibrio” è certamente la Planchette della Ouija che si trova sulla copertina. La sua storia è molto particolare, ma del resto questo libro ne ha viste di tutti i colori, quindi non sorprendetevi troppo se anche questa ha una sua storia.
La Planchette, anche se sbagliato, aveva il nome in codice di Ouija quando la nominavo durante la lavorazione finale del libro, non è nata con la storia. È postuma all’editing finale che feci nell’estate del 2017, e fu una scelta fatta per creare le basi per la grafica del libro (che era stata discussa con il primo editore che ebbe per pochi mesi “sotto contratto” l’opera), poi stravolta per la versione definitiva del libro come lo vedete ora. La storia aveva alcune lacune e con il bravissimo Federico Tiraboschi (e su suggerimenti del mio compagno) trovai non solo il modo di inserirla, ma divenne la chiave di volta per la storia. Più che la trama, che con quel tassello aveva ampliato la sua complessità, mi preoccupava come sarebbe stato questo oggetto, e come avrei dovuto descriverlo.
Lo confesso, sono una di quelle pazze scrittrici che per prima cosa fa una ricerca iconografica. Radunare immagini è una tecnica che mi aiuta a descrivere un oggetto, un personaggio, o un luogo. C’è chi fa wordbuilding con tutti i dettagli del mondo che crea, io invece mi infilo nelle gallery, per avere le basi per descrivere quello che voglio inserire nel mio libro.
Una ouija… se scrivete questa parola in google immagini, oltre al film omonimo, vi appariranno dei design abbastanza neutri: non era quello che mi serviva, io volevo un oggetto che potesse essere regalato da Dimitri a Nina, se c’è una cosa che Nina non accetterebbe mai è qualcosa di ordinario.
Dopo settimane di ricerca ho trovato i lavori di Ravncotio in particolare la Moonlight Moth Plachette. Quella era perfetta! Ok era grandina per essere un ciondolo, ma il suo design era perfetto. Inoltre la falena conosciuta con il nome il design, nella simbologia e nelle leggende, la si trova collegata agli spiriti. Della mia protagonista non ho scritto molto il suo passato nel libro, ma sapendo che aveva lei perso i genitori in giovane età ho trovato che questa falena le si adattasse molto, quasi potesse essere il suo famiglio o lo spirito guida.
Avevo trovato non solo il design, ma anche i collegamenti alla storia, il problema erano i soldi! Ravncotio per delle planchette customizzate chiedeva una cifra troppo alta. Venne in mio soccorso Andrea Wise che mi consigliò gli splendidi lavori di Marta Beltrame. Lei ha realizzato la copia zero, la cui realizzazione mi ha emozionato moltissimo: per prima cosa Marta ha lavorato secondo i tempi e facendo diversi incontri per valutare come realizzarla, i materiali, e soprattutto il design. La forma di base da cui è stata ricavata quella del libro è opera solo sua.
L’editore però bocciò il suo lavoro e io a meno di un mese dalla consegna degli elementi grafici mi ritrovavo con la copia zero non adatta.
Per fortuna, per caso, o forse è stata una buona spinta dell’Equilibrio, nel viaggio di ritorno dal Salone 2019, il marito di una mia cara amica mi ha suggerito di realizzarla con una stampante 3D e lui si era offerto di modellarla.
Da lì parte un percorso in cui ho ridisegnato il progetto di Marta per poi farlo scolpire e stampare da Martino Zinzone. Decine di versioni una più bella dell’altra, ma non abbiamo stampato finché il mastro designer ha decretato che più di così non si poteva lavorare. C’è voluto davvero tanto tempo.
Quando la sottoposi ai nuovi editori chiedendo, tra le due versioni finali quale preferissero da autentici uomini risposero: sono identiche. Dovetti far notare quali fossero le differenze prima di scegliere il definitivo.
Questi passaggi sopra citati sono stati la parte più divertente di questo lavoro che ha impegnato tante persone, in particolare Miss Oneto, che ha creato le matrici in da cui ha ricavare le copie che poi sarebbero finite nelle box.
Ci sono pochi esemplari definitivi, tecnicamente sono solo 7, ma mentre venivano stampate, in casa Red Kedi, sono sbucate versioni molto alternative come quella grigia e quella nera.
Non credo sarà mai possibile sfruttarle nella storia ulteriormente, ma ammetto che vederle ha fatto scattare qualche idea nella mia mente creativa, se ci sarà un prossimo libro ne riparleremo, non è nei miei programmi benché in molti lo chiedano.