Recensione Pumpkinheads di Rainbow Rowell e Faith Erin Hicks

Recensione Pumpkinheads di Rainbow Rowell e Faith Erin Hicks

È l’ultima volta che lavoreranno al campo di zucche, e la malinconia investe Josiah. Deja non ha però intenzione di lasciare che il suo miglior amico viva di rimpianti. Per questo inizia una folle corsa per permettere a Josiah di parlare, almeno una volta, con la ragazza dei dolcetti.

Attenzione questo albo è stato fornito da Mondadori.

In se questo volume è molto scorrevole, ogni capitolo permette al lettore di scoprire il campo di zucche e, il susseguirsi di contrattempi e divertenti disavventure, accompagna il lettore verso una morale semplice: la vita va avanti, ma qualcosa resta sempre.

La scelta di mostrare Deja come bissessuale è stata insolita, non mi aspettavo in questa storia, che mi sembra rivolta a un pubblico quasi pre-adolescenziale, ci sia una figura non etero. Attenzione non mi sconvolge alla Helen Lovejoy (qualcuno pensi ai bambini!), semmai mi sembra quasi strano vedere con quale naturalezza si adatta alla trama; dovrebbe essere sempre così, eppure vengo da una generazione che NON ha visto questo genere di storie, e sì rimane stranamente (ma piacevolmente) sorpresa.

Il finale è alquanto scontato, le continue disavventure che allungano la storia rendono chiaro un plot twist che è nell’aria dalle prime pagine. Peccato perché averlo capito così presto ha reso la storia, nel suo insieme, nulla di speciale.

I disegni sono tipicamente nord americani che non apprezzo moltissimo Ho trovato però di pregio la visione alternativa del classico fumetto americano: Dejaper esempio ha una silhouette particolarmente formosa e piacevole a vedersi, ho gradito che non fosse la solita figura longilinea. I colori sono saturi e raccontano l’autunno con le varie tonalità calde tipiche della stagione, rafforzate anche dall’ambientazione.

In definitiva una graphic novel molto carina, ideale per giovani lettori, senza troppe pretese ma che da una graziosa visione delle zucche, e anche degli zucconi.

Recensione Lawmar & Emme di Matteo Caldarelli

Recensione Lawmar & Emme di Matteo Caldarelli

Lawmar e Emme, fondatori dell’omonima azienda, hanno per le mani un nuovo progetto da sviluppare che, come i molti già realizzati, mira a migliorare in qualche modo la vita delle persone.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Matteo Caldarelli.

Quello che mi sono trovata tra le mani non è stata una lettura come molte altre. La narrativa ha spesso l’obbiettivo di intrattenere, ma in questo volume non c’è principalmente questo. La ripetitività di situazioni e gesti fa capire, già dai primi volumi, che non è la storia il punto focale, bensì la completa scoperta dei due personaggi principali. Questo non significa che non c’è trama, ma questa passa a volte in secondo piano rispetto alle descrizioni che si concentrano su molti aspetti, dai piccoli gesti compiuti o ad esempio dal dettaglio di ciò che mangiano.

È particolare che ogni scena si apra con un orario e il nome del personaggio che seguiremo fino al cambio. Ci troviamo come davanti a un film, dove la telecamera puntata su un soggetto ci mostra tutto. Può sembrare una scelta che rallenta il testo, ma ci sono come delle piccole briciole che siamo invitati a notare e che nell’insieme compongono la complessità di un mosaico, che si può apprezzare a fine lettura.

Di certo la parte migliore del testo è il caffè al bar che ogni mattina Emme si concede. Si potrebbe scrivere un romanzo solo su questa parte, perché crea un percorso narrativo che ho trovato più coinvolgente di tutto il romanzo.

Non è a mio parere un romanzo per tutti, e mi spiace che il lavoro di editing si sia lasciato sfuggire alcune ingenuità tipiche di uno scrittore emergente. Non sono un problema, ma il testo è molto ricco e mi dispiace averne trovati così tanti. Inoltre l’impaginato ha dei giochi di crenatura, credo atti a risparmiare pagine, che sono a volte esagerati.

Una buon primo capitolo per questo autore che ha origini bresciane come le mie (per certi versi pure molto simili alle mie, visto che abbiamo fatto gli stessi studi e lo abbiamo scoperto quasi per caso) di cui spero di leggere altro in futuro, e che vi invito a tenere d’occhio se amate quella letteratura molto calma, che però lascia tanto un poco alla volta.

Recensione Mille Tempeste di Tony Sandoval

Recensione Mille Tempeste di Tony Sandoval

Lisa è un’adolescente che però non ha ancora abbandonato il gioco infantile: ama raccogliere teschi e ossa o dilettarsi con le sue bambole o il suo elmo. Spinta dall’ennesimo gioco si ritrova, senza accorgersene, in un mondo parallelo dove trafuga i denti di un demone, e torna nel mondo reale ignara di aver irritato un diavolo che ora pretende giustizia.

Attenzione questo albo è stato offerto da Tunué.

Sono anni che faccio il filo a Tony Sandoval, tutta colpa di Tunué, e infatti per il mio compleanno mi sono regalata “Echi in tempesta”. La fortuna ha voluto che l’editore mi omaggiasse di quest’opera e di un’altra. Ho deciso di partire da questa (di recente pubblicazione) perché mi ispirava di più da subito, e non ho fatto male.

La storia è raccontata con semplicità alternando il mondo reale con quello fantastico, oltre il portale attraversato da Lisa. Però più che la storia in sé è il tratto dell’artista a colpire. I disegni di Tony Sandoval è qualcosa di unico: i ragazzi hanno corpi filiformi e teste sproporzionate, si contrappongono agli adulti che sono molto più proporzionati, ad accezione di alcuni (come alcuni anziani) dove i dettagli del viso sono enfatizzati fino a farli sembrare caricature di loro stessi. I demoni e le presenze fantastiche hanno forme insolite, a volte minimali e armoniosi, altre grottesche come se fossero brutte versioni di loro stessi.

Le tavole sono in parte un trionfo di acquarelli, in altre di quasi asettico inchiostro e colore, infatti dove la storia racconta è l’ordine di linee nette e spazi a fare da padrone, mentre dove ci troviamo davanti alle emozioni dei personaggi, i confini si annullano e saranno le sfumature che sembrano ancora bagnate a dare forma alle sensazioni.

L’unica pecca di questo volume è il formato molto piccolo: l’opera è godibile anche se piccina, ma avrei apprezzato maggiormente in una dimensione più vicina a quella di un A4.

Una lettura davvero particolare e interessante, dove i disegni sono i veri protagonisti. E’ un albo che non può mancare al vostro scaffale dedicato alle Graphic Novel.

Recensione Ciclo dell’Impero – Paria dei Cieli di Isaac Asimov

Recensione Ciclo dell’Impero – Paria dei Cieli di Isaac Asimov

Chicago, 1950: Joseph Schwartz, sarto in pensione, sta passeggiando per le vie della città, quando viene colpito da uno strano raggio sfuggito a un istituto di ricerca nucleare. Si trova così catapultato nell’anno 827 E.G. (Era Galattica). La gente parla una lingua incomprensibile, la Terra è diventata radioattiva, è un piccolo pianeta sottosviluppato ed fa parte di un grande Impero Galattico che la tratta con disprezzo. Una fazione di conservatori, guidati dall’Alto Sacerdote e dal suo ambizioso Segretario, sogna di tornare a un mitico passato di grandezza e di far pagare agli “Esterni” la loro arroganza. Allo stesso tempo Bel Arvardan, giovane e brillante archeologo di Sirio, giunge sul pianeta per cercare prove della sua teoria sull’origine della razza umana. C’è poi il dottor Shekt, uno scienziato che ha inventato il sinapsificatore, macchina capace di potenziare le facoltà mentali, insieme alla sua giovane figlia Pola. Le vicende di questi personaggi si intrecceranno in modo sempre più stretto, fino al punto in cui Schwartz, Shekt, Pola e Arvardan dovranno farsi carico del compito di salvare l’intera galassia da una terribile minaccia.

Questo libro è stato offerto da Mondadori e recensito per voi da Viviana Tenga.

Paria dei Cieli fu scritto da Isaac Asimov nel 1950. È quindi uno dei suoi primissimi romanzi. All’interno di cronologia interna del suo universo narrativo, è l’ultimo dei tre romanzi del Ciclo dell’Impero, svolgendosi almeno mille anni dopo Il Tiranno dei Mondi. L’Impero Galattico guidato da Trantor, che vedrà la sua decadenza nella successiva saga della Fondazione, è qui una realtà relativamente giovane ma già consolidata.

Gli elementi tipici di Asimov ci sono tutti: trama complessa e avvincente, fiducia nella scienza e nella razionalità umana come forza positiva. Gli elementi fantascientifici sono affascinanti, dalla società sviluppatasi su un pianeta radioattivo, al sinapsificatore, alle micro evoluzioni avvenute nella razza umana (il dottor Shekt si stupisce, per esempio, che Schwartz abbia trentadue denti e un’appendice lunga più di un paio di centimetri).

La caratterizzazione dei personaggi è in alcuni casi grezza: il cattivo è una macchietta, il personaggio femminile di Pola un bidimensionale “love interest” per Arvardan. Non che l’approfondimento psicologico sia mai stato un punto forte di Asimov, ma in romanzi successivi farà decisamente di meglio.

Ci sono poi le similitudini storiche e le riflessioni su temi generali. La Terra di Paria dei Cieli ricorda a tratti la Palestina sotto l’Impero Romano: una provincia povera ma riottosa, con un popolo che si sente “eletto” ma che è trattato con disprezzo da tutti gli altri della galassia. Il procuratore Ennius, rappresentante dell’Impero, ricorda per alcuni versi la figura di Ponzio Pilato (soprattutto quando è alle prese con la casta sacerdotale terrestre).

Il romanzo affronta anche in modo molto esplicito il tema del razzismo, con argomenti e riflessioni oggi un po’ banali, ma che sicuramente lo erano di meno nel 1950.

Piccolo elemento, che invece è forse più attuale oggi che allora: a un certo punto si parla di virus usati come arma. Da persona che aveva già letto il romanzo diversi anni fa, devo ammettere che questa volta i passaggi al riguardo sono stati più di impatto.

Parere complessivo sul romanzo: non eccelso, ma una lettura piacevole e un libro da leggere se si ama Asimov e il suo universo.

Riflessione finale sul ciclo dell’Impero: trattandosi di storie del tutto slegate tra loro, forse vale la pena leggere i romanzi nell’ordine in cui sono stati pubblicati (ovvero, inverso rispetto all’ordine cronologico interno), in modo da poter apprezzare una crescente qualità della scrittura. Nell’insieme, il ciclo non è il miglior biglietto da visita per iniziare a conoscere Asimov, ma è sicuramente un blocco da recuperare se ci si è già appassionati al resto.

Recensione di Creepshow di Stephen King e Bernie Wrightson

Recensione di Creepshow di Stephen King e Bernie Wrightson

Il maestro dell’orrore Stephen King, regista de “La notte dei morti viventi,” e il tratto inconfondibile di Bernie Wrightson, finalmente arrivano in Italia con l’albo Creepshow, pronto a terrorizzarci per Halloween.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Era il 1982 quando questo fumetto accompagnava l’uscita dell’omonimo film, il primo ad avere la firma di Stephen King. Cinque racconti dell’orrore prendevano vita sul grande schermo e venivano poi trasposti in questo fumetto. Che sia nato sull’onda di un omaggio a grandi autori del passato lo si può notare dal tratto molto vintage e dalla struttura delle tavole che ricorda i vecchi fumetti anni 60-70. I colori, ma soprattutto il design dei personaggi, rivela chiaramente che questo non è un fumetto moderno. Notate bene che ho definito fumetto e non graphic novel, perché questo ha ben poco del romanzo a fumetti.

I cinque racconti sono un classico dell’orrore dove zombie, e situazioni weird, la fanno da padrone. Ho trovato molto bello che ci sia un narratore pronto a introdurre e accompagnare le storie, infrangendo la terza parete.

Il primo racconto “La festa del papà” ha un canovaccio classico, che quasi mi ha sorpreso. Ormai non se ne vedono più di trame così lineari e ovvie. Allo stesso modo anche “La cassa” è un episodio abbastanza semplice che eppure ha una sua godibilità. A mio parere il migliore resta “La morte solitaria di Jordy Verrill”. Il personaggio è ben sviluppato e, sebbene già il titolo ci faccia capire che fine farà, è quasi un sadico piacere vederlo rovinarsi con le sue stesse mani, semplicemente non agendo. Il più spaventoso è “Strisciano su di te”, in una situazione simile sarei morta già nella seconda vignetta.

Una pietra miliare del panorama fumettistico americano, che per troppo tempo è rimasto inedito nel nostro paese. Finalmente arriva in tutta la sua bellezza per terrorizzarci come solo un tempo si sapeva fare. Se amate Stephen King, e il fumetto americano, non può mancare nella vostra libreria.

Recensione Nona Grey – Holy Sister di Mark Lawrence

Recensione Nona Grey – Holy Sister di Mark Lawrence

La guerra è alle porte, Nona e le sue amiche non sanno se riusciranno a vestire l’abito da suora prima che tutto inizi…

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Siamo alla fine. Un terzo volume che però, come il precedente, ha qualcosa che non lo classifica come il “finale”. E’ molto più breve dei precedenti e si sente molto, infatti alcune sottotrame si risolvono in maniera sbrigativa.

Questo finale accellerato ha però un punto molto positivo, l’azione regna sovrana e non si disperde: molti combattimenti sono ben scritti, intrattenendo e rendendo la sua lettura scorrevole.

Nona è sempre un personaggio solido attorno a cui si costruisce il finale, anche se l’autore lascia qualche piccola situazione senza risoluzione. Alcuni personaggi sono abbandonati o hanno una “fine” troppo affrettata. Non capisco questa scelta visto che, nei primi due volumi, l’autore si era preso spazio. Aveva forse finito la carta? Ovviamente scherzo, ma sono rimasta spiazzata da questa corsa improvvisa.

Davanti alla parola fine posso dirvi che nel suo insieme è una trilogia che aveva grande potenziale, ma che non ha saputo convincermi. Il primo grande scoglio è stato lo stile troppo lento. Inoltre non basta da solo il mondo sanguinario che l’autore ha creato per tenere viva la mia attenzione. Di solito far soffrire la protagonista è un modo molto semplice far creare empatia con lei. Beh, Nona ha sempre sofferto e non sono riuscita a vederla come una bambina innocente e amarla da subito… crescendo poi credo che ci siamo ignorate a vicenda.

Consiglierei questa trilogia? No. Vedo che in molti stanno apprezzando Nona Grey. Mi spiace l’autore è innegabilmente bravo ma, per me, con questa trilogia non ha superato la sufficienza.

Recensione Ciclo dell’Impero – Il tiranno dei mondi di Isaac Asimov

Recensione Ciclo dell’Impero – Il tiranno dei mondi di Isaac Asimov

Biron Farril è il giovane figlio del governatore del pianeta Widemos; sta ultimando i suoi studi universitari sulla Terra, quando viene a sapere che suo padre è stato giustiziato, colpevole di tradimento verso i Tirannici, il popolo che domina decine di mondi, tra cui Widemos.

Biron scopre che anche la sua vita è in pericolo. Inizia una fuga nello spazio, alla ricerca di salvezza per sé e vendetta per suo padre. Si trova così a Rhodia, altro pianeta sotto il dominio dei Tirannici, dove incontra Gillbret e Artemisia, rispettivamente cugino e figlia del debole governatore locale. Insieme, i tre si metteranno alla ricerca di un misterioso “mondo della rivolta”, dove si prepara la ribellione contro i Tiranni.

Questo libro è stato offerto da Mondadori e recensito per voi da Viviana Tenga.

Il Tiranno dei Mondi è un romanzo del 1951, uno dei primi della produzione di Asimov. Insieme a Le Correnti dello Spazio e Paria dei Cieli forma la Trilogia dell’Impero, che racconta di una galassia colonizzata dal genere umano, ma ancora divisa in tanti regni in conflitto tra loro. 

Pare che in un’intervista Asimov lo indicò come suo romanzo di cui era meno soddisfatto. In effetti, è probabilmente uno dei meno brillanti. Non che sia un brutto libro: la lettura in sé è avvincente, c’è l’attenzione per la verosimiglianza scientifica che caratterizza Asimov (nei limiti delle conoscenze dell’epoca), c’è tanta azione, una storia d’amore discretamente costruita, dei buoni colpi di scena.

Manca però qualcosa che lo renda memorabile o gli dia spessore dal punto di vista delle tematiche trattate. Le riflessioni più interessanti sono forse quelle sull’evoluzione delle civiltà umane (le dinamiche politiche dei regni galattici sono di fatto una replica di ciò che è avvenuto in passato sulla Terra). Risulta invece a tratti eccessiva l’enfasi sul concetto di lotta per la libertà, e su questo tema si arriva nel finale a un passaggio un po’ cringe. 

I personaggi sono caratterizzati quanto basta alla storia. Il trio di protagonisti è formato da un giovane brillante ma un po’ “testa calda”, una ragazza altezzosa ma intrepida e di buon cuore, uno zio sopra le righe. Tra i cattivi troviamo l’uomo che mette l’ambizione davanti agli ideali e quello che in realtà è una brava persona, ma ha un ruolo sociale che lo porta a curare gli interessi degli oppressori. Non c’è particolare approfondimento psicologico, ma non è quello il focus del romanzo. 

La traduzione è quella degli anni Cinquanta, e forse il romanzo ne meriterebbe una nuova. Per esempio, i dialoghi potrebbero essere resi un po’ più dinamici lasciando che i personaggi si diano più spesso del tu invece che del lei. C’è poi il nome del pianeta dei dominatori: nell’originale è “Tyrann”, che senz’altro richiama il termine “tyrant” ma non vi corrisponde, ed è popolato dai “tyranni”. In italiano, abbiamo semplicemente un pianeta Tiranno abitato dai tirannici. Si potrebbe forse valutare di lasciare i termini originali, perché per un lettore di oggi è più faticoso prendere sul serio degli antagonisti “dal pianeta Tiranno”.

Nel complesso: il romanzo è ben costruito ed è una lettura gradevole, ma non è tra i migliori della produzione asimoviana. 

Recensione Nona Grey – Grey Sister di Mark Lawrence

Recensione Nona Grey – Grey Sister di Mark Lawrence

Prosegue il percorso di studi di Nona che ora dovrà scegliere a cosa dedicarsi: essere una mistica o servire con la spada? Non sarà una decisione facile.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Il libro prosegue proprio da dove si era interrotto, anche se un salto temporale ci porta due anni avanti nella storia, subito dopo iniziano a venire a galla gli elementi che daranno nuova forma alla profezia.

Lo so, ho ribadito questo concetto anche nella precedente recensione, ma sul serio lo stile di questo autore è troppo deviante rispetto alle azioni dei personaggi. Oltre a questo è pure prolisso. Allunga nozioni che si potrebbe riassumere in poche frasi. Per quanto questo volume sia più intenso (per gli avvenimenti) rispetto al precedente, il personaggio di Nona mi rimane, come nel primo libro, troppo distante, anche se attraverso personaggi nuovi e la maturità delle situazioni avrebbero dovuto farmi scattare un maggiore feeling con lei. Eppure molti aspetti mi hanno ricordato le situazioni adolescenziali con bullismo, perdendo a mio parere lo scopo principe di questa nuova parte della storia: darci una chiara visione della fine della formazione di Nona.

Ci sono molti nuovi personaggi interessanti eppure (come già ribadito anche in questo caso) ho trovato la lettura un poco pesante, ed è strano perché come secondo volume ha molta azione. Eppure mi è quasi venuto il sospetto che l’autore avrebbe potuto chiudere la storia con questo libro. Non sembra infatti un volume di passaggio che prepara il lettore al finale, ma invece…

Resta un ultimo volume, il più breve dei tre… sono curiosa di capire come si chiuderà la storia di Nona.

Recensione Aki il Bakeneko e il demone volpe di Stefania Siano

Recensione Aki il Bakeneko e il demone volpe di Stefania Siano

Dopo aver sconfitto il Nurarihyon la vita di Aki è tornata normale. Almeno per quanto può esserla per un Bakeneko che si finge umano. Eppure questa tranquillità sarà presto sconvolta dall’arrivo di Koichi, un demone volpe.

Attenzione questa copia è stata fornita da Stefania Siano.

Chi in adolescenza ha respirato le atmosfere dei manga, quei fumetti così strani (e che sì, chiamavamo fumetti), certamente potrà capire quando parlo dell’emozione di fantasticare sul Giappone: quella magica sensazione che trasmettono le divise scolastiche, gli amori da shojo, i ciliegi in fiore e i grattacieli di Tokyo. Sullo sfondo ogni scena che prende vita nella nostra testa. Sono queste le epifanie che nascono dalle pagine di Stefania Siano, ora, dopo tanti anni in cui ritorna a raccontare del suo Bakeneko Aki. Si vede che l’autrice è cresciuta e, soprattutto il finale, tira fuori quel dolce amaro che fa urlare “ne voglio ancora”, perché questo nuovo volume ha la forza di un romanzo breve, nel delicato spazio di un racconto.

Si legge in poche ore, lo si ama, e all’ultima pagina si controlla che non ci sia davvero altro (forse alla mia copia mancano delle pagine? No, mi sto solo illudendo,voglio leggere altro) perché l’autrice ormai ha un percorso chiaro in cui direzionare il lettore e, a noi poveri spettatori, tocca solo pazientare per poter leggere altro.

Aki è maturato e ormai il rapporto con Yoko potrebbe accontentare noi lettori, ma l’arrivo di Koichi non solo sconvolge le carte in tavola, ma permette anche di vedere che c’è un mondo più complesso di quello raccontato nel primo libro: ecco che gli Yokai sono un dato di fatto, ma ben camuffato al mondo umano. Hanno società e non solo. Una scelta che apre la porta a possibili nuovi racconti, e anche Yoko, come personaggio evolve.

Tornano le illustrazioni di Paola Siano che, con il loro ormai inconfondibile, stile non si piegano all’ambientazione nipponica, ma offrono una visione alternativa unica che ormai rende speciali le opere delle Sorelle Siano: una che costruisce con le parole, l’altra che dona forma con il sapiente lavoro di chiaro scuro.

Un racconto breve, bello da leggere e assaporare, di cui si sente una sola mancanza: il seguito. C’è bisogno di un racconto numero tre e quattro (non disdegnerei nemmeno un cinque) che spero arrivino presto.

Se amate le atmosfere scolastiche da anime/manga non lasciatevi sfuggire questi racconti.

Recensione La guerra dei papaveri di R. F. Kuang

Recensione La guerra dei papaveri di R. F. Kuang

Rin è orfana e i suoi genitori adottivi hanno un piano per lei: farle sposare un uomo per liberarsene; lei però non ha intenzione di sottostare al destino che le è stato imposto. Ha poco tempo, ma deve studiare e superare gli esami che le permetteranno di avere un suo futuro accedendo all’accademia.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Questo libro è molto particolare. Partiamo dal fatto che si tratta di una lettura molto avvincente, ma con molti buchi di trama. Allo stesso modo sembra rivolto al giovane pubblico, ma molto spesso le tematiche sono forti e a mio parere non le darei così facilmente in pasto a dei lettori sotto una certa età. Eppure è un libro che fin da subito mi ha appassionato… vediamo insieme i perché.

Partiamo dall’ambientazione. Siamo in un mondo fantasy classico di forte ispirazione orientale, l’impero con i suoi regni ricorda moltissimo la Cina, come l’isola di Speer, Taiwan e (chissà come mai) il nemico, la Federazione di Mugen, assomiglia invece al Giappone. Eppure i nomi e la storia di questi luoghi raccontano un mondo immaginario, se non fosse che ogni tanto saltano fuori riferimenti chiari al nostro mondo (l’esempio più palese è il libro di studi L’arte della guerra di SunTzu). Questo mix tra realtà e finzione affascina (dai chi non ha mai amato la particolarità dell’estremo oriente) e imbriglia il lettore, di pagina in pagina non può far altro che volerne scoprire sempre di più.

Il secondo elemento, a mio parere forte, è Rin. La protagonista segue il canovaccio delle storie di avventura orientali. È chiaramente l’eroe che riuscirà in tutto, ma non gli viene resa la strada facile. È orfana in una famiglia che non la vuole e che, per legge, ha dovuto prenderla con sé. Vuole studiare e puntualmente le viene imposto un matrimonio di comodo. Quando raggiunge un risultato o una vittoria questa non è mai appagante: ad esempio riesce ad andare alla scuola, bene, ma è solo una contadinotta. Dimostra di essere comunque sveglia e brava, ecco che il suo essere donna le mette in chiaro da subito che potrebbe non farcela. L’evoluzione di questo personaggio è composta da una costante ascesa, caratterizzata da nuove difficoltà a cui seguono imprevisti e, ogni vittoria, sembra avere un sapore amaro.

Quello che invece non soddisfa appieno il mio gusto è la scelta di inserire lo sciamanesimo come un dato di fatto solo a metà volume: la formazione che Rin ha a Sinegard (l’accademia) viene da subito mostrata come un elemento semplice che si bassa su strategia, forza, ingegno ecc.. L’elemento fantastico invece è ritenuto come una semplice leggenda: uomini che combattono con il potere degli dei, impossibile! Eppure è evidente da un certo punto in poi che esista. Ecco, tutto questo mi è sembrato forzato proprio perché non fuso con l’ambientazione, anzi reputarla una cosa inesistente proprio nella stessa scuola in cui c’è un corso (anche se non frequentato) riservato a questo potere.

Infine le droghe. Avevo intuito che fossero parte scatenante della componente fantastica, una scelta logica. Anzi forse avrei voluto vederle di più sotto questo aspetto che sotto quello di semplici stupefacenti (visto che si parte sin da subito scoprendo che Rin lavora per la sua famiglia che, appunto, gestisce un giro di spaccio).

Tirando le somme, questo volume è avvincente ma ha molti difetti. Si legge con scorrevolezza fino a metà poi si incappa in alcune situazioni troppo lente, e si ritorna a correre oltre la metà. C’è la guerra, e non una guerra di sfondo; ci sono sangue, stupri e massacri, raccontati a piene parole. Non è un libro che consiglierei a giovani lettori, ma nemmeno a lettori forti adulti e consumati. Io credo che questo volume sia una via di mezzo, un fantasy new adult commerciale che avrebbe bisogno di essere smussato un po’, ma che vi confesso ho letto con molto piacere.