2020 – L’anno di letture della Chimera (terza e ultima parte)

2020 – L’anno di letture della Chimera (terza e ultima parte)

Come dicevo in precedenza, del 2020 mi hanno colpito cinque volumi. Ognuno con caratteristiche diverse e con storie uniche. Partiamo dal fondo della classifica.

Al quinto posto: “Pomodori verdi fritti al caffè di Whislte Stop”, un titolo sempreverde e che per quanto lo vedessi nelle librerie di altri lettori, ignoravo la sua storia, o anche solo che ci fosse un film tratto da esso. Pensavo fosse solo un libro di massa invece si è rivelato una sorpresa. L’ho letto con piacere, con calma, ci ho messo quasi un mese e non mi sono pentita, né del tempo passato insieme, né di aver aspettato per leggerlo. È arrivato quando serviva e sono certa che il prossimo Fannie Flagg che leggerò arriverà proprio come Gandalf, quando ne avrò bisogno.

Al quarto posto: “L’ultima ricamatrice”. Letto perché ero attirata dalla trama, sono finita nell’intreccio dell’ordito che lo compone. È un libro che non ha una storia davvero speciale, eppure racconta di un mondo che sta scomparendo, quello delle sarte, delle ricamatrici, delle donne che con ago e filo hanno tenuto insieme la storia del nostro paese e che quasi nessuno ricorda. Ha risvegliato ricordi difficili, ha rievocato l’amore che avevo per il punto croce e l’uncinetto e mi ha fatto capire che stiamo abbandonando il tempo che dedicavamo a queste attività. Oggi sono relegate al poco tempo dei nostri hobbies e non a una attività necessaria anche per liberare la mente e creare qualcosa per noi, per la nostra casa o per il semplice piacere di farlo.

“Gli inganni di Locke Lamora”. Primo volume di una trilogia che promette molto. Devo però metterlo al terzo posto, gli altri due volumi restanti non possono meritare di meno. Non ho voluto premiarlo nei migliori Fantasy perché era davvero molto di più. L’ambientazione, i personaggi, e nonostante la mole, si divora con piacere e mi sento di consigliarlo a tutti, ma proprio a tutti, anche a coloro che di solito non apprezzano la componente fantastica. Peccato che Nord non l’avesse valorizzato abbastanza nel 2011, peccato che nessuno prima di Mondadori avesse avuto il coraggio di pubblicarlo di nuovo, perché questo libro (e credo anche i successivi) merita il suo spazio in tutte le librerie.

Mi hanno sempre detto che leggere e scrivere vanno di pari passo. Ecco, al secondo posto metto un volume che chiunque voglia scrivere un romanzo dovrebbe leggere: “Fiamme nella palude”. E’ così che si scrive un romanzo. Così si crea una trama (ok, il finale è po’ un’americanata). Si sente che è un libro che difficilmente si può attaccare in qualche modo; magari non amate il fantasy, ma il modo di raccontare una storia di dare vita a dei personaggi, non era mai stato fatto così bene. Questo libro è la messa in pratica di tutte le possibili lezioni di scrittura che si possano prendere. Se volete scrivere dovete leggerlo, studiarlo e poi scrivere come se non ci fosse un domani.

Infine, il meglio del meglio. E’ un libro che non avevo richiesto e che mi è stato donato dall’editore. “Il talento del crimine”. Non so nemmeno cosa altro dire. Come spiegare quanto sia stato un sogno, come lettura, come storia, come scoperta? È stato uno dei pochi libri in vita mia che avrei voluto sottolineare (peccato mortale, degno della pena capitale, in casa Chimera). Le tematiche trattate sono varie e  snocciolate con una profondità che resta dentro. Prima di scrivere questo articolo ho riletto uno dei passaggi più belli. Sono passati mesi eppure anche così, estrapolato dal contesto, riletto per rievocare la sua lettura, ha lo stesso sapore della prima volta. Che dire se ancora non avete letto nulla di questa autrice provate, fidatevi non ve ne pentirete.

Con i libri ho finito ma resta ancora una cosa di cui parlare… del mio anno come autrice. Quindi sì c’è altro da leggere sul 2020, ma ne parliamo in un altro articolo.

Recensione: Il talento del crimine di Jill Dawson

Recensione: Il talento del crimine di Jill Dawson

Il talento del crimine

Patricia Highsmith è stata una grande scrittrice di noir. Nella sua vita ha raccontato questo genere in ogni sua sfumatura attraverso romanzi e racconti, eppure è sempre rimasta chiusa nella sua privacy nascondendo al mondo la sua vita e le sue relazioni omosessuali. Una figura così complessa da dare ampi spunti per raccontarla, riempiendo i vuoti attraverso i suoi lavori: Jill Dawson, inserendo espedienti narrativi della scrittrice nella sua vita, crea una storia che potrebbe risultare molto veritiera, e se non si conoscono i romanzi di Patricia, difficilmente si pensa che siano frutto di fantasia.

Attenzione, questo libro è stato fornito da Carbonio Editore.

Questo romanzo è strutturato in pochi capitoli, lunghi e intensi. In più punti avrei voluto sottolineare il testo e vi confesso di aver trovato in queste pagine decine di citazioni che vorrei a esergo dei miei lavori, tanto sono belle e vere.

La narrazione si sofferma su tante tematiche, difficilmente le si può elencare tutte. Di certo i dialoghi con Ronnie, amico dell’autrice, raccontano il lavoro dello scrittore, dell’introspezione attraverso l’osservazione del mondo per poter poi riportare su carta le emozioni filtrandole attraverso le parole, o ancora come lavori una mente omicida, cosa provi nel passarla liscia, se si senta o meno perseguitato dalla sua colpa. Vi garantisco che spiegarli viene davvero difficile, perché questa autrice non si mette a snocciolare semplici frasi fatte, porta invece il lettore nella discussione, fa vivere emozioni e dubbi, e poi ci si trova a confermare o smentire le argomentazioni di Pat o Ronnie.

Questo libro è la dimostrazione che ci sono davvero delle opere che hanno qualcosa di diverso, di unico, di speciale. Questa in particolare non racconta una storia e basta: con il contagocce, ogni singola pagina dipinge affreschi complessi. La protagonista vive in soli piccoli dettagli insoliti, sottili come la bava di una lumaca, che disturbano come la cenere di una sigaretta su un piattino abbandonato su un comodino, come l’azione di bere del whisky nel bicchiere porta spazzolini. Finezze che raccontano confusione, ma anche la complessità, di una scrittrice vissuta tra l’incomprensione dei suoi affetti e della critica che generalizzava i suoi lavori controversi per l’epoca, in eterna fuga dalla fama e da chi voleva raccontare la sua vita.

Non conoscevo così bene questa autrice e sono rimasta davvero sorpresa della sua passione per le lumache, e la fissazione del portarle con se nella borsa a feste o interviste. Questo romanzo mi lascia un ricordo di lei sfumato alla visione complessa che ne ha tirato fuori Jill Dawson, come di una donna spezzata, invasa dalla continua ossessione di immaginare morti tragiche.

Questo romanzo è un ritratto irreale, eppure è difficile pensare che lo sia. Un vero noir in cui la suspense porta per mano il lettore in una storia che potrebbe essere solo una fantasia.