Le mirabolanti avventure di Lovelace & Babbage (di Sydney Padua)

Le mirabolanti avventure di Lovelace & Babbage (di Sydney Padua)

Lovelace & Babbage, due ingranaggi fondamentali che hanno messo in moto un macchina destinata a rivoluzionare la computazione mondiale, grazie alla loro visone poliedrica della matematica e del progresso tecnologico. Non a caso hanno gettato le basi per la Macchina di Turing, per poi diventare passo dopo passo quel tool che noi chiamiamo grezzamente “computer”.
Mondadori, che ha gentilmente offerto questo libro, punta molto in alto con quest’opera della collana Oscar Ink. E ne ha ben donde, perché il lavoro di ricerca di Sydney Padua è certosino tra biblioteche, archivi e Google Books. L’autrice ci riporta in un’era illuminata, dove le colonne portanti dell’attuale informatica ed elettronica erano soliti trovarsi, in occasioni più o meno mondane, per scambiare idee e progetti grazie ai quali l’automazione ha avuto una spinta decisiva.
Lei, considerata la prima programmatrice in assoluto in barba al patriarcato, lui una mente folle ed incompresa che ha unito vapore e meccanica nelle sue macchine.
Questo volume è come la Macchina Analitica da loro progettata. Ha una sua magnificenza, una sua stranezza, una sua complessità ed anche un piccolo senso di incompiuto. Vi è un’alternanza continua di graphic novel, con note a margine, disegni, foto, stralci di lettere, eppure una volta terminato è come se mancasse qualcosa, pur avendo appreso inconsciamente una quantità enorme di nozioni storiche, matematiche e mondane. E’ impossibile collocarlo in qualche modo, perché è un sapiente mix di informazioni eterogenee che si intersecano una con l’altra creando un legame inscindibile.
L’autrice ha probabilmente dovuto fare lei stessa uno sforzo titanico per riuscire a raccapezzarsi tra fiumi di nozioni universitarie e documenti introvabili, eppure riesce coerentemente a creare una serie di mini fumetti molto d’impatto e curiosi per celebrare, in un modo molto fantasioso, vari momenti chiave della vita dei nostri beniamini. E’ ammirevole anche tutta la trattazione sui principi meccanici della Macchina, teoremi che ad oggi quasi diamo per scontati, ma che hanno una lungimiranza contestualizzate nell’epoca vittoriana. E’ bene per esempio sottolineare come, anche il primo computer moderno, facesse uso del principio delle schede perforate adeguato da Charles ai sui scopi. Non possiamo non sottolineare che crearono la prima stampante, perché la loro Macchina stampava tavole logaritmiche, testate e controllate regolarmente da Ada. E che dire del Riporto Anticipato, caposaldo delle attuali porte logiche negli apparati elettronici? Sydney ci scaraventa dentro tutto questo oceano di numeri, calcoli, esperimenti, e lo fa con passione e trasporto, per portare alla ribalta due geni indiscussi del ‘800.
E’ un’opera straordinaria, ma non è per tutti. Richiamerà sicuramente gli amanti della tecnologia, i curiosi, gli storici  e i matematici, ma il suo contenuto è troppo particolare per essere compreso ed apprezzato dalle masse. Il fumetto copre una piccola porzione, rendo la graphic novel striminzita per gli apprezza la fumettistica. La parte storica è ampia ma frastagliata, rendendo complesso ai “non addetti ai lavori” percepire la grandezza del contenuto di lettere e note. La parte matematica e meccanica è altrettanto particolareggiata ma difficile da digerire per chi ha concetti superficiali di meccanica ed informatica.
Come nota a margine è curioso mettere in luce il fatto che, seppure non tutta la società non vedeva di buon occhio il genio che si celava dietro alle donne, da questo volume traspare invero che erano tempi migliori  per le ardite che si lanciavano nelle scienze. Stranamente pian piano vi è stata un’inversione di tendenza che ha portato gli uomini, erroneamente, a credere di essere i soli delatori meritevoli di poter studiare le scienze. Ada Lovelace era una matematica che superava di gran lunga gli uomini. E lo dicono, nero su bianco nelle loro lettere, i maestri che ci hanno lasciato in eredità le fondamenta dell’informatica moderna.

Recensione Sword & Sorcery – L’epopea di Fafhrd e del Gray Mouser di Fritz Leiber

Recensione Sword & Sorcery – L’epopea di Fafhrd e del Gray Mouser di Fritz Leiber

Colui che definì lo Sword and Sorcery, fu anche l’autore di questa raccolta di racconti dedicata a due personaggi che hanno contribuito a fare la storia di questo genere. Fafhrd e il GrayMouser altro non sono che i personaggi di una serie di racconti epici, dove avventura, astuzia e belle donne sono le colonne portanti della narrazione.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Per voi ho letto Spade tra i Ghiacci, la penultima raccolta di racconti pubblicata ed è forse una delle meno apprezzate dal pubblico. Rispetto ai primi libri dove avventura e ironia la fanno da padrone, in questo volume non si riesce ad apprezzare pienamente le storie, quasi come se il filo conduttore dell’autore si perdesse all’interno dei racconti. Ci sono intatti delle narrazioni molto carine ma davvero brevi, e altre che occupano forse troppe pagine, risultando anche meno incisive. Nei primi infatti è il capriccio divino a dare forma alle difficoltà che troveranno sulle loro strade, mentre gli ultimi due, benché ci sia la presenza di Odino e Loki, sembrano fuori tema rispetto alle altre.

Un elemento che ha certamente fatto il suo tempo, è la sessualizzazione forse eccessiva dei personaggi femminili. Abbiamo una giovanissima fanciulla che fa arrapare i personaggi che, per quanto apprezzi l’ironia di una “esca” che li metterà nei guai, devo ammettere che leggere oggi questa scena risulta meno ironica e più scontata di quanto, forse, fosse percepita all’epoca.

Il finale della raccolta è piuttosto risolutivo e sembra quasi mandare “in pensione” i due personaggi, che trovano felicemente anche le donne da sposare. Questo è forse uno dei passaggi che fece storcere maggiormente il naso ai lettori dell’epoca (ma anche a quelli contemporanei), come se l’avventura fosse eterna e non si potesse accettare, per i loro beniamini, la decisione che forse fosse l’ora di sistemare le proprie cose e iniziare a godersi la vita.

Se si vuole leggere fantasy Fritz Leiber è certamente uno dei più grandi autori del novecento. Certo questi racconti possono sembrare datati o dare un sentore di già letto, ma sono stati tra i precursori di questo genere. I personaggi da lui creati hanno saputo fondere la figura dell’antieroe con l’ironia e la fantasia.

Blog Tour I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift

Blog Tour I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift

È facile accostare Gulliver a Ulisse, due naufraghi che cercano in ogni modo di tornare a casa. Le epoche e i luoghi sono molto distanti, eppure “I viaggi di Gulliver” da molti viene considerato come l’Odissea settecentesca.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Non è solo il solcare i mari nella speranza di tornare a casa ad associare i due personaggi  e non lo sono nemmeno i luoghi fantastici che visitano e che, costantemente, abbandonano nella speranza di tornare a casa; hanno in comune una sincera curiosità. Mi domando se Dante lo avrebbe collocato nell’inferno, come il suo predecessore,  proprio per questa peculiarità. Eppure Gulliver non è un eroe che fa ritorno a casa dopo aver vinto la guerra; è solo un chirurgo di marina che naufragato cerca una via per casa. Non siamo in una epoca in cui si possano cantare le gesta degli eroi. È un mondo molto più razionale rispetto a quello in cui Omero scrive.

Il lungo peregrinare di Ulisse è dettato dalla ferocia del dio dei mari. Gulliver invece è vittima di un naufragio dettato dalla casualità. La completa assenza di un intervento divino è una delle grosse differenze che pochi notato. Le magie, o le situazioni incredibili che Gulliver incontra, sono semplicemente un dato di fatto.

Certo, abbiamo anche in Gulliver la possibilità di incontrare i morti, ma a differenza di Ulisse che scende negli inferi, questo incontro avviene sulla terra; non ha modo di dialogare con essi come invece farà Ulisse. Questo dimostra quando l’autore non prenda una parte, ma sia razionale nel non poter sapere come un morto risponderebbe a un vivo. C’è più logica e sapere, perché del resto il settecento è un secolo illuminato, dove il buio dell’ignoranza e della superstizione viene lasciato indietro.

Sono due viaggi molto diversi, eppure chi li legge non può negare quanto Swift si sia ispirato a Omero. Certo Gulliver è anche una delle migliori opere di satira sociale dei suoi tempi, eppure oggi lo si propone anche ai più piccoli (in versioni tagliate) perché ha molti elementi di avventura adatti al pubblico giovane. Nonostante ciò, mi sento di dire che Gulliver è una pietra importante su cui la narrativa contemporanea poggi. Ulisse lo fu prima di lui, certo, ma era anche un’opera in versi. Inoltre non si può negare quanto Gulliver abbia esumato dai testi classici come “I moralia” di Plutarco. Mi trovo a sorridere a queste influenze, che per opere più contemporanee sono spesso sminuiti, quasi fossero plagi o rivisitazioni.

La narrativa non inventa quasi più storie uniche e nuove. La via per il futuro è forse la medesima di Swift di guardare e conoscere il passato, per dare una nuova visione nel presente? Ovviamente non ho la risposta, ma sono sempre più convinta che leggere le opere, che hanno fatto la storia della narrazione, sia fondamentale per poter davvero scrivere.

Blog tour  Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

Blog tour Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

La location, che secondo me risulta la meglio trasposta, devo confessarvi che non è quella di Alice, bensì quella del Mondo del mago di OZ. Del resto è anche la prima in cui ci troviamo catapultati dal mondo reale, quella che ha elementi così semplici, eppure così caratteristici da farci capire subito che si tratta di OZ. I papaveri, come anche la strada di mattoni gialli, sono un chiarissimo richiamo al mondo fantastico scritto da L. Frank Baum, e da subito risalta maggiormente rispetto all’Isola che non c’è e al Paese delle Meraviglie. Credo che questo sia dovuto anche da altri fattori, per esempio di OZ non ci sono così tanti re-telling e graphicnovel (o almeno non sono arrivate nel mercato italiano), di conseguenza si hanno molti meno termini di paragone. Se consideriamo che di OZ abbiamo solo due grandi film, mentre per le altre troviamo tantissimo materiale: hanno infatti la sfortuna di essere state riadattate in molteplici modi (potete nominarne 5 versioni senza nemmeno sforzarvi troppo, provate!) e si fa più fatica ad apprezzare con questo stile di disegno molto semplice. Sì perché su molti elementi il disegno è ottimo, in altri a mio parere rimane sciapo. La stessa nave di Uncino me l’aspettavo più rococò, meno stilizzata (dopo Hook, Capitan Uncino, non ci sarà nave meglio azzeccata!). Anche il Paese delle Meraviglie appare troppo semplificato e, visto che per Alice è un luogo da incubo, mi aspettavo elementi più forti a definirlo.

Il mondo reale (che ha poco spazio) invece ha una sua colorazione molto chiara e dominante: i toni ocra, senape, danno un tono accogliente e, non a caso, per quanto lo si percepisca come “manicomio” è un luogo che ha il sapore di casa. Il colore caldo (che anima anche Oz) si contrappone invece ai mondi di Alice e Wendy che appaiono molto più freddi.

Sì, lo confesso, tutti quei papaveri rossi hanno fatto breccia nel mio cuore, tanto da farmi lasciare in secondo piano le altre due location fantastiche di questa graphicnovel. La mia speranza è che se sarà prodotto un secondo volume, magari, lo stesso lavoro di risalto potrebbe essere fatto sulle altre ambientazioni.

Recensione Watersnakes di Tony Sandoval

Recensione Watersnakes di Tony Sandoval

Due bambine che si incontrano e sono pronte a combinare i peggio disastri, eppure una è solo un fantasma. Un re costretto a fuggire e cercare salvezza. È tutto un sogno o forse è solo una difficile realtà da accettare?

Attenzione questo albo è stato offerto da Tunué.

Amo Tony Sandoval e con queste tavole lui ha ricambiato. Ci sono intere pagine che resterei a guardare per ore e ore. Perfette, il suo tratto a raccontare una storia di pargoli molto weird_onirica, quasi fosse partorita dalla mente di un bambino. Già perché devo confessarvi che, per quanto proceda, ogni nuova scena è una scoperta e non sembra seguire una trama: anche alcune azioni dei personaggi sono molto bambinesche strappano un sorriso, perfino nel finale, quando tutto è oscuro e sanguinolento. Gioca con noi lo stesso disegnatore dove in alcune pagine inserisce degli elementi che, per gioco, decorano la pagina (come un pesce o un dente).

Uno dei dettagli che ho apprezzato di più di questo volume è stata la carta. È stata scelta una grammatura interessante e soprattutto opaca. Aprendolo mi aspettavo fosse lucida, invece scorrendole ho capito il gioco fatto dall’editore: le vignette presentano ancora il segno della matita. Con questa carta l’effetto acquarello dei colori si esalta, insomma la carta fa sembrare questo volume composto da tavole originali.

Amo i tratti distintivi dei personaggi, con i loro faccioni immensi, i corpi sottili e longilinei, occhi enormi e distanti; il tutto sempre in contrasto con il mondo degli adulti in cui i grossi visi lasciano spazio a volti caricaturali, dove enormi nasi e infinite rughe definiscono queste facce che non sembrano degne di una loro storia.

Molto interessante la scelta cromatica per le varie avventure: ecco che il nero del polpo è anche il protagonista della palette del mondo onirico, al contrario, nel mondo reale abbiamo toni pastello luminosi.

Un volume davvero fantastico. Unico, speciale e che consiglio agli amanti delle Graphic Novel.

Blog Tour Alice, Dorothy & Wendy

Blog Tour Alice, Dorothy & Wendy

È logico che per l’uscita di Cheshire Crossing, Mondadori abbia messo in pista anche un Drago a tema. Per quanto sia una purista di Alice, vi confesso che avere le storie originali delle tre protagoniste di questa GraphicNovel in un unico volumone ha il suo perché.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

No, non mi soffermerò a dirvi quanto hanno fatto un lavoro “figherrimo” graficamente. No, non vi dirò che le traduzioni non sono proprio freschissime. Oggi mi tocca parlarvi di Wendy.

Come potete ben intuire, quando ci siamo spartite le protagoniste, io sono arrivata tardi. Se vi state chiedendo perché di questa mia affermazione allora non mi conoscete. Wendy, o meglio Wendy Moira Angela Darling (come si presenta pomposamente nel lungometraggio Disneyano), come personaggio Disney l’ho sempre trovata molto antipatica: troppo altezzosa e desiderosa di essere il punto focale di Peter Pan.

Nella sua versione originale invece è tutt’altra cosa. Se Peter Pan ha dato la forma all’eterno bambino, Wendy invece è la visione romantica della figura materna: almeno una volta, da bambine, abbiamo finto di cullare una bambola, di fare le brave mamme (che chissà perché consisteva sempre e solo nel tenere questi finti neonati, puliti e calmi), anche se io ero una che amava fingere l’invasione delle formiche giganti. Non voglio entrare nell’aspetto sessista del gioco che molti ci vedono, ma non posso negare che avendo vissuto i colorati anni ’90, questo fosse un gioco innocente che ci faceva sentire adulti.

Leggere oggi la sua opera, separandola dai vari adattamenti è impossibile, come è improbabile che possiate capire una Wendy “mamma” che Barrie voleva far arrivare ai lettori. Del resto di lui ci resta di più il suo protagonista che è diventato sinonimo di spensieratezza. Eppure capire quanto per la bambina vittoriana/edwardiana potesse essere traumatico il passaggio all’età adulta è una chiave fondamentale per riuscire a cogliere una sfaccettatura importante: Wendy come Doroty e Alice hanno paura di crescere, degli obblighi che il tempo sembra dover assegnare ai bambini che devono abbandonare all’infanzia. È un tema che viene affrontato da molte eroine letterarie dell’epoca. Il passaggio all’età adulta, visto come nemico, Wendy lo affronta con una fuga dal mondo reale per giocare a vivere. Wendy è una bambina che gioca a fare la mamma. Peter è un bambino che gioca a fare alla guerra (sul serio leggete quel libro, i bambini e i pirati muoiono davvero!). Per Barrie forse era tutto il gioco di bambini mai cresciuti.

Blog Tour Tolkien – Il creatore della terra di mezzo – I tesori di Catherine McIlwaine – Il Silmarillion

Blog Tour Tolkien – Il creatore della terra di mezzo – I tesori di Catherine McIlwaine – Il Silmarillion

Come posso spiegarvi “Il Silmarillion”. Lo so che lo ripeto in ogni dove, eppure non smetterò mai di ringraziare Tolkien: con lui ho cominciato a leggere a sedici anni, e ora ho una casa sommersa di libri e vorrei averlo scoperto prima. Ero solo una ragazzina, cercavo solo un libro che potesse farmi affrontare lo scoglio della dislessia. Fu “Il signore degli anelli”, ma anche “Lo Hobbit”, a farlo, anche se il mio più grande amore tolkeniano è legato a “Il Silmarillion”. Questo libro lo si può riassumere come la genesi del mondo della terra di mezzo. Non credo si possa scadere nella poetica narrazione di come il suo autore lo concepì mentre era rimasto ferito nella prima guerra mondiale. No, per me questo libro è qualcosa di più. È storia, è epica, è avventura e tormento, un luogo dove vivono gli eroi, dove nemmeno lo stile del suo autore (per molti ritenuto ostico) mi poté rallentare, anche se era solo il terzo libro che leggevo.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Ne “Il Silmarillion” tutto ha un inizio. Credo che i disegni di Tolkien lo facciano percepire più chiaramente rispetto agli altri appunti e incartamenti. È qui che secondo me il maestro ha messo la sua anima. È il luogo dove scatta la scintilla che darà luce e vita a tutto; lo fa con la poesia della musica, che da canto diviene vita. Non sceglie il verbo o un creatore supremo. Lascia che sia il suono a plasmare la terra e le vite. I suoi elfi, i primi uomini in quei boschi eterni, perfetti, che lui stesso mise su carta.

Fa strano vedere i bozzetti di Tolkien, aveva una grande fantasia e non la applicava unicamente alla narrazione. I suoi disegni, a volte legati alle geometrie, stilizzati, sono rivelatori di un qualcosa che la parola non sempre riesce a trasmettere: le atmosfere che solo il colore vivo e le linee possono portare. Chissà se Tolkien si è mai immaginato noi posteri guardare i suoi lavori, più o meno riusciti, per entrare sempre di più nelle sue opere? Mi chiedo cosa penserebbe lui, di questo nostro morboso “avere altro” quando la sua produzione è ormai finita e definita da tempo. Eppure è questo che i libri sono in grado di fare: creare un bisogno che va oltre le pagine. Sono certa che questo stesso “prurito di curiosità” si possa scatenare anche grazie a serie tv o fumetti, ma io non riesco a riconoscerlo così forte, come tra quella magia che si è creata tra me e i libri di Tolkien.

De “Il Silmarillion” devo avere solo tre edizioni (poca roba rispetto alle mie collezioni in cui ho a volte decine e decine di volumi dello stesso libro), eppure sono una più importante delle altre. La prima che ho avuto è stata il regalo di una mia amica dell’epoca per il mio diciottesimo compleanno; la seconda è l’edizione che lessi la prima volta e che pagai uno sproposito perché volevo che fosse proprio quel libro (già raro negli anni 90), infine ho un’edizione inglese perché un giorno vorrei provare a leggerla in lingua madre. Per me questo libro è riassumibile così: come una presenza importante nella mia formazione, un tesoro che ho voluto a ogni costo, una promessa di riscoprirlo nella sua originale interezza quando sarò pronta.

È per questo che non posso far altro che continuare a leggere e informarmi su Tolkien, è per questo che finché ci sarà da scrivere su di lui, io sarò lì a leggere. Anche questi due volumi, lo fanno magistralmente, perdermi tra le loro pagine è stato un modo per tornare su quei primi passi lontani quindici anni.

Recensione Il ritmo della guerra di Brandon Sanderson

Recensione Il ritmo della guerra di Brandon Sanderson

Abbiamo letto per voi Il Ritmo della Guerra, il quarto volume della Folgoluce dell’inarrestabile Brandon Sanderson, pubblicato da Oscar Fantastica in contemporanea all’uscita negli Stati Uniti, grazie allo straordinario lavoro dello storico traduttore di Sanderson in Italia, Gabriele Giorgi.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori, recensione a cura di Chiara Crosignani.

Il romanzo si inserisce perfettamente nella cornice dei volumi precedenti: non solo per ampiezza (le sue 1330 pagine lo portano quasi sullo stesso livello del precedente Giuramento), ma anche per la pregevolezza artistica di questa serie, caratterizzata da immagini di altissima qualità: a colori, nella quarta di copertina, la rappresentazione di alcuni degli Araldi di Roshar, e, in bianco e nero, all’interno del volume, una selva disegni che ci permettono di visualizzare il mondo creato dall’autore con un’immersione nella sua biologia (soprattutto spren e forme di Cantori), nella sua moda (sospettiamo qui l’intervento di Adolin in persona) e nella sua arte.  Anche solo le dimensioni e l’accuratezza della grafica basterebbe a giustificare il prezzo, senza considerare il contenuto.

Ma Il Ritmo della Guerra è un attesissimo romanzo di Sanderson e quindi è al contenuto che i suoi fedeli lettori mirano. Negli episodi precedenti, forse soprattutto in Giuramento, Sanderson ci ha abituati a un inizio lento (beh, lento per gli standard di Sanderson) e a un finale trascinante, di quelli che lasciano veramente incollati alle pagine per ore.

Il Ritmo della Guerra inizia più rapidamente rispetto al capitolo precedente: è passato un anno dagli eventi conclusivi di Giuramento, ma abbiamo poco tempo per ambientarci nella nuova realtà. Gli eventi si accavallano rapidi, su più fronti, ed è difficile trovare un momento di pausa nell’intero romanzo (chi vi scrive lo ha letto in tre giorni).

Tutti i personaggi principali si trovano ad affrontare sfide che li coinvolgono nella battaglia cosmica per il possesso di Roshar e, potremmo dire, dell’intero Cosmoverso: sì, perché finalmente, con questo quarto capitolo, capiamo davvero la portata della guerra che si sta combattendo, grazie a riferimenti sempre più diretti e precisi agli altri mondi che compongono l’universo sandersoniano. Teorici del Cosmoverso, qui troverete pane per i vostri denti!

Ma l’ampliamento dei confini dell’universo non è il solo elemento che ci ha fatto amare Il Ritmo della Guerra (che, personalmente, abbiamo apprezzato più di Giuramento): come suggerisce il titolo (e come sappiamo da tempo i flashback tipici della serie si concentrano sulle parshendiEshonai e Venli) i Cantori entrano prepotentemente in scena, in tutte le loro (scusate il gioco di parole) forme.

Se già in Parole di Luce e in Giuramento avevamo avuto modo di familiarizzare, e di empatizzare, con gli altri abitanti di Roshar, in questo libro possiamo leggere dalle loro parole cosa hanno vissuto, nel presente del racconto e nel loro tragico passato, per essere diventati quello che sono. Come sempre accade nei testi di Sanderson, il male e il bene sono concetti così interconnessi che non è possibile trovare un rigido dualismo e tutti i personaggi sguazzano nel confine tra moralità e amoralità, tra giustizia e onore da un lato e prevaricazione dall’altro: così, rimaniamo sorpresi da quanto possano essere onorevoli i malvagi nichiliferi e ingiusti coloro che dovrebbero rappresentare la moralità di Roshar.

E proprio in queste sfumature, che obbligano il singolo a compiere scelte dolorosissime, sta la grandezza di questa serie: se in una prima fase della produzione di Sanderson si aveva l’impressione che alcuni personaggi potessero essere meglio delineati, qui i protagonisti bucano le pagine. Kaladin che affronta il buco nero della sua depressione, Shallan afflitta dall’incapacità di gestire la sua personalità scissa dai traumi subiti, Dalinar, titanico nelle sfide che incontra, senza dimenticare il Ponte Quattro, i Radiosi, Navani, del cui rapporto con Gavilar finalmente veniamo a scoprire qualcosa, e che nella sua umanità entra nel novero dei protagonisti del romanzo, e un Adolin finalmente autonomo dall’ingombrante eredità paterna (i fan di Hoid saranno felici di sapere che Arguzia del Re ha un ruolo non secondario nella vicenda).

Il finale del libro è, come da abitudine, un’esplosione di colpi di scena sempre più travolgenti, che ci fa rimanere in astinenza da ultimo capitolo di questa prima pentalogia dedicata a Roshar. Anche questa volta, Sanderson non sbaglia un colpo e la traduzione di Gabriele Giorgi, che rende nel modo migliore i neologismi del Divino Brandon (anche e soprattutto nelle complesse parti tecniche che riguardano le scienze arcane di Roshar), ci permette di godere in tempo reale del nuovo travolgente capitolo delle Cronache della Folgoluce.

Recensione Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

Recensione Cheshire Crossing di Andy Weir e Sarah Andersen

Prendete Alice, sì, quella del paese delle meraviglie. Doroty, sì, la tipa con le scarpette rosse che ama saltellare sulle strade con i mattoni gialli. Infine Wendy, la “Mamma” di Peter pan e i bimbi sperduti. Fatto? Ora shakerate tutto con un pizzico di eccentricità e il risultato è Cheshire Crossing.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Mondadori.

Partiamo dal presupposto che proprio un anno fa (dal giorno in cui sto scrivendo questo articolo), a Candem Town, un fumettaro mi stava proponendo una graphicnovel crossover tra queste tre protagoniste; era una versione molto più adulta di Cheshire Crossing e vi confesso che un poco mi pento di non averla comprata. In ogni caso mi fa molto sorridere trovarmi a scrivere questo articolo ora, dopo un anno, e parlare delle stesse tre ragazzine, in un’opera che ha del geniale.

Andiamo con ordine. Qualcuno di voi ha mai visto “Nel fantastico mondo di Oz” (conosciuto anche con il titolo “Ritorno a Oz”)? Trattasi del secondo film dedicato alla serie che Disney produsse negli anni ’90 e che partiva dallo stesso input di questo volume: se Doroty fosse esistita, dopo il suo viaggio nel mondo di Oz, come sarebbe stata trattata? Ovviamente da pazza, messa in manicomio! Ecco che Wendy, Alice, e appunto Doroty, si ritrovano insieme in una clinica che dovrebbe curarle dalla pazzia.

La premessa è fantastica, ma quello che c’è da sapere è che la clinica in cui sono finite, la Cheshire Crossing, non le crede pazze. Piuttosto vuole studiare i loro poteri.

Gli elementi intriganti sono legati alle tre protagoniste che hanno un carattere molto delineato (ho amato Alice perchè forte e menefreghista e già tifavo per lei a pagina 2) e alla fusione dei tre mondi (che entreranno in contatto tra loro, ma non vi dico come). Il tutto insieme avrà dei risvolti esilaranti. Si incastra tutto magistralmente, cosa che non pensavo potesse succedere (sono una purista di Alice e difficilmente la trovo adatta a vivere fuori dal suo mondo), eppure vedere le tre protagoniste scontrarsi con Uncino e la Strega dell’Est è apparso un evento molto naturale. Allo stesso modo Wendy e Doroty sono state una rivelazione: non le ho mai amate particolarmente, ma messe a contatto con gli altri mondi fantastici hanno saputo tenere la scena.

I disegni sono semplici, eppure hanno il loro perché. Ho storto il naso solo sull’epilogo, se lo leggerete ditemi se non avete avuto la stessa mia impressione. I colori accesi dei mondi fantastici, si contrappongono ai colori caldi e monocorde del mondo reale. Non so se avrei optato per un disegnatore diverso, devo ammettere che il tratto ben si adatta alla frizzantezza di alcuni momenti.

Una graphic novel fresca, rivolta a giovani lettori e di cui voglio vedere molto altro (e l’epilogo mi lascia ben sperare). Lo consiglio a chi piacciono le storie originali che hanno ispirato questo volume.