Recensione Social-democrazia di Stefano Tevini

Recensione Social-democrazia di Stefano Tevini

Basta un’immagine Gif sbagliata in allegato ad un post per rischiare la vita. Ecco che i likes altro non sono che i voti per determinare se sarai o meno condannato a morte. E quando quel numero conferma la tua condanna, non puoi fare altro che scappare oppure ucciderti.

Attenzione, questo libro è stato offerto da Stefano Tevini.

Tornano le atmosfere Teviniane, torna la forte critica sociale. Insomma Social-democrazia è un racconto che ha tutto per diventare quasi un romanzo. Non mancano pagine, non ce ne sono in eccesso, eppure di un mondo così avrei letto ancora.

Il dito puntato contro il mondo dei social media, soprattutto allo shaming on line. La stucchevole pratica che, attraverso epiteti sui propri profili on line, sfocia in autentiche gogne mediatiche, fino a scatenare (direttamente o indirettamente) i propri follower a fare azioni di hating (odio) in branco nei confronti dei malcapitati. Ho provato questa esperienza, e devo dire che trovarsi insultati e giudicati da centinaia di persone che nemmeno hanno idea di tu chi sia, è umiliante, frustrante e si arriva al punto di desiderare di sparire. Anche fisicamente. Certo qui la tematica è estremizzata, eppure non si può negare come l’impatto del bullismo digitale possa rovinare la tranquillità del quotidiano: ci si sente condannati a morte allo stesso modo del protagonista di Social-democrazia. Si vuole soltanto scappare e in qualche modo sopravvivere.

Un racconto breve ma che come sempre parla delle tematiche outsider care allo scrittore. Come sempre il lato B del mondo è schiaffato nelle sue pagine e mostrato senza alcun tipo di censura; la violenza e l’odio non vengono centellinati, a continuo monito che là fuori esistono davvero delle persone in ombra, la cui scomparsa resta parcheggiata nel dimenticatoio del mondo.

Una lettura sadica, potente, come solo questo autore riesce a mettere su carta (o in questo caso su e-book); una lettura da gustare tutta, con la sua amarezza, come le immagini crude di una periferia malfamata che scorre fuori dal finestrino del nostro autobus, da cui la guardiamo in totale sicurezza perché sappiamo benissimo che, se dovesse essere la nostra fermata, non saremmo in grado di sopravviverci.