Sonderkommando – Diario di un crematorio di Auschwitz 1944
La più grande fonte di informazione sulla Shoah, l’olocausto del popolo ebraico, per me è sempre arrivata tramite la parola scritta. A scuola puntualmente si legge l’argomento tramite i libri di testo, affiancando la storia a libri come “Il diario di Anna Frank” o, se si è più maturi, si legge invece “Se questo è un uomo” di Primo Levi. Testimonianze, memoria: parole scritte per non dimenticare. I lettori che si avvicinano a questo genere di libri rincorrono le risposte a domande che sembrano elementari: i mille “Perche?” o i continui “Come mai in così pochi si opposero?” rimangono spesso privi di una spiegazione logica che siamo in grado di accettare e spesso, tra le pagine di questi volumi, si trovano solo altri quesiti.
Oggi voglio parlarvi di un libro molto crudo, la cui eleganza poetica estrania il lettore da una testimonianza così vera e spiazzante, che difficilmente si riesce ad accettare.
Partiamo dal conoscere l’origine di questa memoria, ritrovata nella nuda terra di Auschwitz, su pagine scritte di nascosto alla ricerca di un lettore che portasse nel mondo esterno le dure realtà che il suo autore stava vivendo. Salmen Gradowski introduce i tre scritti che vennero ritrovati presentando se stesso, citando i nomi dei suoi famigliari, della moglie, persone di cui conosce la data di nascita e quella di morte perché lui è sopravvissuto a loro, ma è diventato uno degli uomini del Sonderkommando, la squadra di ebrei che fanno funzionare i macabri meccanismi del campo di sterminio.
Tra le pagine ritrovate l’autore racconta l’orrore di un lavoro che produce morte, una tremenda catena di montaggio dove centinaia e migliaia di persone diventano cenere,distruggendo ogni prova degli orrori nazisti. Pagine che invocano un lettore perché qualcuno una volta letti, diffonda il loro messaggio e dia vendetta a tutte quelle donne e uomini che entravano vivi in quei luoghi e scomparivano tra i fumi dei forni crematori.
Non è un testo semplice da affrontare, la prefazione per fortuna spiega quanto il lettore ignora e ciò che il suo autore potesse raccontare in quei giorni. Già perché di lui è rimasta solo la memoria scritta e si ignora la data esatta della sua morte.
Una memoria che è difficile da evocare, eppure ci dona un tassello, l’ennesimo e orribile, di un periodo storico che non possiamo ignorare. Non dobbiamo dimenticare gli errori, non possiamo permetterci la leggerezza di non vedere nel razzismo i semi che hanno dato frutti così terribili.