Recensione di Cuori arcani di Melissa Panarello

Recensione di Cuori arcani di Melissa Panarello

Greta, rimasta orfana, è stata mandata in una casa famiglia e con se ha pochi effetti personali della nonna che l’ha cresciuta: un suo diario e dei tarocchi. Nella sua nuova abitazione ci sono altri ragazzi come lei, ma ce n’è uno che solo lei vede.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

È strano leggere Melissa Panarello. Il suo nome è indissolubilmente legato a Melissa P. tanto che persino l’editore sente il bisogno di specificarlo nella biografia dell’autrice;il libro scandalo e di grande successo che mentre andavo alle superiori tutti i miei compagni leggevano e nascondevano ai genitori. Si è rivelata una insolita lettura accompagnata nelle prime pagine da pregiudizi. Mai avrei pensato di trovare tanta poetica in una autrice che ricollegavo alle pruriginose fantasie dell’adolescenza. Eppure dovremmo smetterla di collegare Melissa al suo successo editoriale, non è solo Cento colpi di spazzola, e questo libro lo conferma.

I primi capitoli sono molto lirici, mi spiace che lo stesso tenore non sia rimasto per tutto il libro (nella parte centrale c’è un’impennata di spiegazioni che avrei apprezzato vivere, invece di vederle raccontare da Arturo per dare una svolta al romanzo).

Si sente l’amore per la Sicilia, per la sua tradizione mistica e folkloristica, dove il profano è più concreto del mondo reale; ci si affeziona a Greta facilmente, l’autrice la racconta con pazienza e infatti mi è spiaciuto vederla travolta dall’elemento avventuroso della storia, è una protagonista che così viene quasi soffocata dal bisogno di portare avanti la trama, ma lei è più poesia e l’avrei vista meglio in un romanzo adolescenziale.

Sono poche pagine, un volume ideale per chi vuole una storia che parla di tarocchi. Sfortunatamente non mi ha convinto appieno. Reputo sia scritto magistralmente ma ho trovato leggermente  banali alcuni punti della storia, troppo palesi alcune situazioni. Peccato perché la mano dell’autrice è potente, ma si perde in una storia semplice che non ha la forza di centellinare i dettagli che dovrebbero far immedesimare il lettore nel mondo di Greta.

Per concludere vorrei soffermarmi un secondo sulla copertina: davvero bella e evocativa, un lavoro che colpisce l’occhio del lettore e richiama la storia con potenza più della trama. E’ il caso che lo confessi, è stata questa a spingermi nella sua lettura. Mi spiace non aver gustato questo volume appieno, aveva palesemente tutto per essere un successo, di certo devo recuperare altri lavori di Melissa perché di strada ne ha fatta davvero molta.

Recensione L’ultima gru di carta di Kerry Drewery

Recensione L’ultima gru di carta di Kerry Drewery

Ichiro è un nonno che ha nascosto la pena di un evento terribile quando aveva solo diciotto anni: in una giornata estiva, come molte altre, ha visto la sua città, Hitoshima, scomparire. Una bomba ha cancellato tutto, le cui conseguenze sono molto più tremende e dolorose di quelle che fino ad allora avevano colpito il suo paese. Il racconto della ricerca della sua sopravvivenza insieme al suo migliore amico Hiro e la ricerca della piccola sorellina Keiko, svelano alla nipote che in nonno Ichiro che c’è un grande rimpianto legato alla sua fortuna di essere sopravvissuto.

Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Tra pochi giorni saranno dieci anni esatti dalla mia visita a Hiroshima. Nel mio viaggio nella terra del sol levante ho voluto fare tappa in quella città, attraversando tutto il Giappone in treno. Ancora oggi è difficile trovare le parole quando racconto l’emozione e le lacrime, che da sole iniziarono a bagnarmi il volto, mentre scendendo dal tram e mi trovavo davanti lo scheletro della cupola del Memoriale della Pace. È un luogo che, nonostante i grattaceli, conserva ancora tutto quel dolore. Per questo ho letto questo bellissimo libro; per il momento non ho modo di mettere in programma un nuovo viaggio verso Hiroshima, eppure sento di doverci tornare, almeno con il pensiero, attraverso una storia.

Non è un libro scritto da un sopravvissuto, nemmeno da un giapponese, e un poco si sente in alcune pagine, ma non mi sento di condannarlo: il miglior libro per ragazzi sulla Shoah che abbia mai letto non era scritto da un sopravvissuto, tanto meno da un ebreo. Ci sono parti della storia la cui memoria non deve essere legata unicamente ai sopravvissuti, anzi, un bravo scrittore può portarla avanti attraverso nuove storie che, non solo facciano rivivere quei momenti, ma insegnino anche l’importanza di tramandarle.

Dal titolo mi aspettavo tutt’altra storia, conosco molto bene infatti la leggenda delle mille gru necessarie per realizzare un sogno, e so anche quanto sia legata questa tradizione a Hiroshima, dove il Monumento della pace dei bambini ha una teca di dimensioni enormi dove chiunque può portare le sue mille gru, o anche solo lasciarne una. Durante le celebrazioni viene infatti donato a turisti e visitatori, un foglio di carta e le istruzioni per costruirla e l’invito a passare proprio al memoriale per lasciarla nella teca. Non vi svelerò come l’autrice l’ha utilizzata nella storia di Ichiro e la piccola Keiko, ma devo confessare che mi ha commosso parecchio e non è affatto quello che mi aspettavo.

Ci sono un paio di scelte stilistiche che non ho approvato, la scelta di trasporre in versi il presente e lasciare narrato solo il ricordo degli eventi, e anche le illustrazioni che ho trovato un po’ troppo semplici, ma nell’insieme è un libro che andrebbe fatto leggere, perché no, a scuola ai giovani lettori. La pace non si insegna solo attraverso gli arcobaleni, a volte c’è bisogno di mostrare molto di più attraverso fatti dolorosi che però raccontano anche la speranza di un mondo che può migliorarsi.

Recensione Factory di Tim Bruno

Recensione Factory di Tim Bruno

Scorza è un vecchio topo, ma grazie alla sua furbizia è riuscito a entrare nella Factory per scroccare formaggio dal foraggio per gli animali. C’è una cosa molto strana però, ci sono tanti animali che non conoscono il mondo ad di fuori il loro piccolo box, un mondo dove esiste un cielo, dove non sono i nastri trasportatori a fornire il cibo ma la terra.

Attenzione questo libro è stato offerto da Rizzoli.

Raccontare l’allevamento intensivo ai bambini non è una cosa semplice. Questo libro non solo la racconta in maniera semplice, ma spiega anche le dinamiche del gruppo quando si cerca di far togliere il paraocchi alle persone. Insomma sembrerebbe un libro per un target giovane e senza troppa morale, ma in realtà c’è molto altro.

Non sono una grande sostenitrice del vegan, ma di certo supporto il cruelty free: conoscere la storia di tre animali destinati a diventare scatolette mi ha ricordato i toni di Okja dove, con spiazzante verità, Scorza deve accettare che gli animali che sta imparando a conoscere, e a cui sta dando un nome, sono destinati al macello.

Inizialmente avevo pensato che questo libro richiamasse “La Signora Frisby e il segreto del Nimh”, ma qui non c’è scontro di specie, anzi, l’uomo sembra non esistere: sono le macchine a alimentare e scandire la vita della Factory. Ma per quanti automatismi lo possano nascondere è chiaro per chi sono quelle montagne di scatolette che ogni giorno vengono prodotte. Leggendo non si da la colpa all’uomo, ma semmai a un sistema che non prevede una vita per quegli animali, destinati a essere coltivati come gli uomini in Matrix. Una scelta interessante che non si sofferma a puntare il dito ma semmai a mostrare la vastità di una luna che troppo spesso rimane ignorata.

Credo sia una bella avventura con una morale tutt’altro che banale, non è la libertà l’obbiettivo finale, piuttosto trovare la speranza di un mondo nuovo.