Recensione Demone del Bosco di Leigh Bardugo e Dani Pendergast

Recensione Demone del Bosco di Leigh Bardugo e Dani Pendergast

Eryk, e sua madre Lena, hanno trascorso la loro esistenza fuggendo incessantemente da un luogo all’altro con la convinzione che, forse, per loro non esista proprio un porto sicuro. Entrambi non solo sono Grisha, ma sono i più potenti e letali tra loro. Temuti da chi vorrebbe ucciderli, e braccati da chi vorrebbe sfruttarne i doni, devono cercare di tenere nascoste le loro capacità ovunque vadano. Ma talvolta i segreti più pericolosi trovano comunque il modo di venire a galla … Questo graphic novel, scritto da Leigh Bardugo e illustrata da Dani Pendergast, è il prequel di “Tenebre e Ossa”…

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Quando un libro vende, è normale che arrivino tanti prodotti a lui dedicato. Adattamenti su vari altri media, tra cui anche vari spin off come questa graphic novel. Sono sempre combattuta su questi prodotti, ho sempre il terrore di trovarci una minestra riscaldata. In questo caso la situazione non è così tragica, ma nemmeno trovo che sia la pubblicazione del secolo.

Partiamo con il dire che i disegni sono semplici. Non brutti, ma lo stile è molto basic, i personaggi sono ben delineati, ma dal punto di vista del numero delle pagine e delle tavole, direi che c’è stato messo un impegno sufficiente. Considerando quanto ha venduto al serie, mi sarei aspettata qualcosa di più; non dimentichiamo che la parte grafica di una graphic novel fa a volte la differenza (non conto in libreria i volumi che tengo solo per i disegni), quindi è un peccato che non abbiano osato con qualcosa di più concreto ed elaborato.

Passiamo alla storia. Prima di andare sulle note dolenti, fermiamoci un attimo. La Bardugo sa scrivere, ok gli ultimi libri mi hanno deluso, ma se prendiamo la trama, nuda e cruda, devo dire che mi è piaciuta molto. Sì vorrei leggere altro del mondo Grisha. Sia prima che dopo gli eventi della serie che l’ha resa così famosa. Però una cosa davvero vorrei che venisse messa in panchina: l’Oscuro. Già, perchè onestamente il mondo creato dall’autrice sta in piedi anche senza di lui (ehi la dilocia dei Corvi viene definita da tutti come un capolavoro e spoiler, il signore delle ombre è solo un ricordo).

Non mi sento di sconsigliare questo volume, ma allo stesso tempo sento che vorrei di più. Che come lettrice mi merito di più. Quindi vi consiglio di fare la seguente riflessione: avete bisogno di un’altra storia sull’Oscuro? Se la risposta è si, compratela, non ve ne pentirete. Se la risposta è no, pensateci bene prima di comprarla.

Recensione Rovina e Ascesa di Leigh Bardugo

Recensione Rovina e Ascesa di Leigh Bardugo

Alina, in un turbine di emozioni ha bisogno di capire che ne sarà ora di lei e come farà a combattere l’Oscuro. Come se non bastasse è imprigionata dall’Apparat che, da lei, pretende di incarnare la Santa in cui, l’intero popolo di Ravka, vede l’unica speranza di salvezza.

Attenzione questo libro è stato offerto da Mondadori.

Mi spiace dover bocciare a pieno titolo questo volume, ma non posso farcela. Attenzione, della trilogia nel suo insieme ne parleremo dopo per ora analizziamo il volume.

Alina ha una personalità troppo mutevole: l’evoluzione di un personaggio dovrebbe essere più graduale e soprattutto dettata anche da ciò che vive. Qui è nelle mani della trama e si adatta ad essa, sembrando un personaggio che cambia idea ogni cinque pagine. Come se non bastasse il volume si muove tutto intorno alla speranza di trovare l’uccello di fuoco e (non faccio spoiler, però devo anticiparlo) il tutto si risolve in un “nulla di fatto”. Senza dirvi altro, la scelta di portare questo plot twist così a caso nella storia, da un lato è apprezzabile (perché c’è una costruzione dietro intrigante), dall’altro ancora non capisco perché fare una mossa del genere che puzza davvero di fanservice (ma sì, ai fan piacerà facciamo che è così e stop) e, anche quando “verrà usato il terzo talismano”, mi sarei giocata altre carte perché, così facendo, si riduce tutto a ovvietà, banalità e finale piatto piatto.

Quindi la trilogia merita di essere letta? A mio parere sì. Ok in questi tre volumi l’autrice pecca di ingenuità narrative, ma la serie contiene tanti elementi intriganti: la corte di Ravka dai vari sentori russi, al mondo Grisha, che da quel tocco di magia e la scelta di rendere solida la base del mondo creato. La storia di Alina è certamente adatta a chi ama gli young adult con tira e molla costanti. Per quanto riguarda la parte romance (tanto che qui la signorina ha tre opzioni tra cui scegliere), quindi non posso negare che a molti piacerà, io invece ne sono rimasta delusa ma… sì c’è un grossissimo “ma”. Banalmente il romanzo dedicato a Nikolai lo leggerei volentieri, tenterò anche con la dilogia di “Sei di corvi” che mi dicono essere meno ordinaria rispetto a questa. Quindi benché mi abbia deluso, non mi sento di bocciare questa autrice e anzi sono pronta a darle una seconda possibilità. Speriamo se la giochi bene questa volta. Nel frattempo è inutile ribadire a Mondadori che abbiamo bisogno del volume dedicato Nikolai.

La pazza che amava gli Zar

La pazza che amava gli Zar

Il titolo di questo mio articolo potrebbe tranquillamente essere quello di un libro. C’è una parte di me che probabilmente lo scriverebbe, l’altra di certo lo comprerebbe. Oggi siamo qui per fare voli pindarici sulla mia fissazione Made in Russia. Vi avevo già parlato di Alice, ma dei Romanov ne accenno giusto ogni tanto qualcosa su Instagram.

Non sono mai riuscita a spiegare apertamente al mondo come mai amo così tanto la tragica storia di Nicola II e della sua famiglia. Amore che poi è stato poi esteso a tutta la nobiltà russa con un particolare occhio di riguardo ai Romanov. Eppure con questo articolo ci provo. Partiamo dicendo che non sono tanti anni, almeno non quanti quelli per la fissazione da “Mondo delle meraviglie”, che acquisto in maniera (quasi) incontrollata libri sull’argomento, anche se le sue origini sono molto più vecchie.

Inverno 1998 (circa). Il film lungometraggio “Anastasia” è arrivato anche nelle case degli italiani grazie a quel reperto semi-archeologico che erano le videocassette. Una bambina di dodici anni, nella provincia di Brescia, la sta consumando come se non ci fosse un domani. Dentro di lei spera che si nascondano dei ricordi dimenticati che la portino lontano dal suo quotidiano: sogna di essere una principessa russa, spera di arrivare un giorno a trovare il suo posto nel mondo. Canta le canzoni, ha una fissa in particolare per “Quando viene dicembre”. È così malata di Anastasia che perfino una sua zia le regala il ciondolo che compare nel lungometraggio. Ciondolo che ha ancora oggi (da qualche parte a casa dei suoi genitori), e di cui spera un giorno di trovare il carrillon da aprire per poter svelare la sua vera identità.

Ecco quella piccola bambina sono io, e fino a quando non mi faranno un esame del DNA che dimostri che non sono una discendente dei Romanov, una piccola vocina dentro di me mi ricorda che forse un giorno, a dicembre, potrei scoprirmi davvero una principessa russa. Facciamo però le persone serie e diciamo che, ora che sono adulta, questo rimane un sogno. Ma la me giovane dovette scontrarsi con la verità storica (oltre alla povertà quotidiana e al non avere una mia corona) nascosta dalla finzione, e si rivelò traumatica: conoscere la vera storia di Anastasia e dell’ultimo Zar di Russia mi lasciò molto triste.

Do per scontato che sappiate a grandi linee dei fatti, non soffermiamoci su giusto o sbagliato, andiamo dritti sulla verità che è confermata anche dai ritrovamenti dei corpi (oltre che dalle testimonianze di coloro che ne presero in qualche modo parte a quella notte del 17 Luglio 1918 a Ekaterinburg): l’intera famiglia reale, composta non solo dallo Zar e da sua moglie, ma anche dalle quattro figlie e il figlio Alessio, morirono. Nessun sopravvissuto. Non riesco a ricordare la prima volta che lessi completamente il fatto storico così come era. Di vivido nella mia mente è rimasta la sensazione di incredulità per quelle morti. Non so come mai abbia sentito così tanta unione con dei reali a cui non devo nulla, se non la fantasia di pomeriggi fine anni novanta, in cui sognavo di farne parte. Eppure è sempre stato un tarlo. Inizialmente speravo nella loro sopravvivenza, in altre volevo sapere tutto, vedere gli scheletri, controllare quanto si sapeva di certo, oltre che informarmi della decina di “aspiranti sopravvissuti” a quella notte di sangue.

È cominciato con il “voglio sapere” che presto è divenuto “voglio tutto quello che è stato scritto su di loro”. Nella mia libreria (inscatolata al momento) ho biografie, diari (questi in lingua inglese), raccolte fotografiche di Nicola II e della sua famiglia. Poi sono passata a cercare informazioni su chi li circondava, da Rasputin (di cui ho anche la rarissima biografia scritta dalla figlia) a Felix Yusuppov che lo uccise (altro libro rarissimo). fino a poi estendere la ricerca alla nobiltà sopravvissuta, e perché no, informarsi sui predecessori di Nicola II come Pietro il Grande e la odiatissima Caterina la Grande. A tutto questo si aggiungono i romanzi ambientati nelle epoche salienti della corte. Poi ho sempre avuto una passione per la moda pre ‘900 e quindi, anche in quel reparto, ho libri che analizzano usi e costumi della corte. Insomma se è coinvolto uno Zar o la Russia, devo averlo.

Vi sento già chiedermi “Ma li leggi?” la risposta è “NI” alcuni li leggo, altri (soprattutto quelli inglesi) per il momento restano in libreria. Un po’ perché ho paura di non godermeli appieno leggendo/traducendo, un po’ perché sono quelli che vorrei sfruttare per scrivere un libro in futuro.

Cosa abbiamo imparato da questo articolo? La prima cosa è che io sono sempre povera anche per colpa di questa mia mania. La seconda è che spero di poter avere lo spazio, e il tempo, per riuscire a  leggere tutto quello che ho comprato e magari, perché no, scriverne.

Recensione: Gli strani Viaggi di Giulio Verne – Michele Strogoff

Recensione: Gli strani Viaggi di Giulio Verne – Michele Strogoff

maestro Jules (o Giulio per questa edizione anche se italianizzato proprio non mi convince) Verne.

Attenzione questo romanzo è stato fornito da Mondadori.

Lo confesso, questo è il mio primo Oscar Draghi. Ne ho visti altri, ma questo è davvero il primo che riesco ad avere tra le mani. Partire con Verne è una cosa molto strana; pensandoci la mia prima lettura alle elementari (che ricordo) fu “Il giro del mondo in 80 giorni” e mi fa strano non averlo trovato in questa raccolta che ha come filo di connessione proprio il viaggio. In un’epoca in cui la narrazione doveva portare ai lettori le emozioni e il fascino dei luoghi più o meno lontani, Verne fu un maestro, fondendo le nozioni sui luoghi con la sua fantasia e portando il lettore in mondi realistici di un futuro che per allora poteva essere prossimo.

Per questo evento ho deciso di focalizzarmi però su Michele Strogoff. L’ho fatto perché la mia passione per gli Zar è infinita e non potevo esimermi dal leggere la visione di Verne sulle steppe e sulla corte russa. È stata una scelta azzardata e vi confesso che mi ha ripagato: l’autore non descrive unicamente l’avventura del viaggio del corriere dello Zar, ma si sofferma a parlare di ogni città toccata o vista dai personaggi, permettendo al lettore di esplorare luoghi lontanissimi, scoprendo non solo le sue bellezze ma anche le loro storie.

Il viaggio, non privo di emozioni per il protagonista, porta Michele a incontrare Nadia, una giovane donna in viaggio per potersi ricongiungere al padre; si aggiungono anche due giornalisti, uno francese e uno inglese, che si rivelano due macchiette comiche che animano molti momenti. Non c’è un attimo di respiro in questa storia che racconta di come un tempo i viaggi fossero dilatati nel tempo e pieni di così tanti imprevisti da risultare autentiche sfide che potevano costare la vita. Se già il viaggio risulta difficile, si deve aggiungere anche la complessità aggiunta con la rivolta dei Tartari: potete capire che questo libro non si ferma un attimo.

Si tratta di una storia classica e nonostante sia comunque datata come narrazione (alcuni punti descrittivi potrebbero rallentare la lettura). E’ anche stata trasposta in diversi film e serie televisive (ci sono anche due lungometraggi animati) e questo ve lo dico perché gli elementi contenuti lo rendono completo: avventura, spionaggio, amore, le bellezze della terra siberiana. Una lettura che non sempre si riconduce a questo autore, eppure non si può negare che sia degna del suo nome.

Il libro è come sempre ben curato, rappresenta appieno i racconti e lo stile di Verne. L’unica pecca a mio parere è che le illustrazioni al suo interno siano quelle classiche che un poco stonano con la modernità dell’esterno (ma questo è un mio gusto personale).

Per essere il mio primo Drago lo approvo a pieni voti e direi che non dovrebbe mai mancare sulla libreria di un appassionato di Verne… Semmai mi domando, ci sarà un volume due con anche altri lavori di questo grande autore? Beh la speranza è l’ultima a morire.